Regimare le acque allo scopo di evitare l’erosione del suolo, frane e danni alla popolazione. Così può essere riassunta la politica promossa dai Borbone di Napoli nel corso dell’Ottocento nel proprio regno. Infatti, tra i vari interventi di riqualificazione dell’odierno Mezzogiorno rientravano anche quelli per ridurre il rischio idrogeologico, una problematica che già in quel periodo era presente per via della morfologia del territorio tema di discussione in questi giorni. Tra il 1808 e il 1809 venne istituito il “Corpo degli ingegneri di ponti e strade” e qualche anno dopo inaugurata la Scuola di applicazione per garantire un’adeguata formazione.
A studiare la tecnica dell’ingegnere e la regimazione delle acque in età borbonica è stato lo storico del Regno delle due Sicilie Giuseppe Foscari. “De Rivera – spiega l’accademico metelliano – ha il pregio di essere stato il primo a parlare di bonifica integrale dei terreni paludosi e malarici; e per realizzare questo progetto aveva disposto interventi quali rimboschimento, assidua pulizia dei corsi d’acqua e divieto di colture nelle aree montane in declivio in quanto causa di dissesto idrogeologico”. A valle si proseguiva con la pulizia dei canali da rami, rocce e sabbia migliorando gli argini per evitare che esondassero e rendessero paludosi i terreni. “Inoltre De Rivera varò la Legge forestale del 1826 – aggiunge il professor Foscari – la prima contenente vincoli alle colture in declivio e sanzioni per gli inadempienti, tra le quali il ripristino dello status quo ante”.
A diffondersi furono soprattutto le briglie, ovvero strutture idrauliche simili a sbarramenti che consentivano l’accumulo dei detriti trasportati dalle acque evitando che potessero essere trascinati a valle e al di là degli argini. Esse erano accompagnate anche da reti metalliche mentre una serie di salti di quota riduceva la potenza dell’acqua che veniva dirottata in vasche di raccolta, che venivano ripulite periodicamente, o in mare. Nel 1833 vennero inoltre ampliati e risistemati i Regi lagni, ovvero la rete di canali realizzata durante il dominio spagnolo nel napoletano volta a distribuire le acque piovane e garantire approvvigionamento durante l’estate. Estesa per un totale di oltre 200Km, la Legge del Consiglio ordinario del 16 giugno del 1833 prevedeva addirittura sanzioni per chi avesse eretto – oggi diremmo abusivamente – costruzioni lungo le sponde o inquinasse.
Ancora oggi sono visibili delle briglie a Sant’Anastasia, nel Parco de Vesuvio, nelle isole e nei Monti Lattari. Lungo la provinciale tra Tramonti e Ravello di recente sono state realizzate opere di “ingegneria naturalistica” dalla Comunità montana grazie a fondi europei. Essi riprendono proprio lo schema delle briglie borboniche ed hanno permesso di evitare le colate di pomici di cui l’asse era vittima. Un risultato ottenuto grazie anche alla sistemazione di canali di scolo e all’installazione di reti d’acciaio. Una vera e propria riproposizione moderna delle opere di De Rivera che ha apportato benefici notevoli a impatto zero grazie all’impiego di materiali come pietra e legno.
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