Caserta, 24 novembre 2020
Di Fiore Marro
La memoria è identità. Ognuno sa di essere se stesso perché ricorda il suo nome, il nome di suo padre oppure cosa ha studiato o dove è nato, ma ancor di più perché ricorda il proprio volto: “Si in quella foto sono proprio io e nessun altro, perché quello è il mio volto!”. Abbiamo necessità di “vedere” il nostro volto per riconoscerci.
Come per gli essere umani anche le nazioni hanno lineamenti distintivi con cui è possibile riconoscerle e ricordarle. Tratti peculiari dell’identità d’una nazione sono certamente le “pietre della memoria”, ovvero le tracce architettoniche, i monumenti antichi, segni indelebili che la storia ci restituisce dell’opera e della cultura di un popolo .
Così può capitare che qualcuno, passeggiando per le consuete strade del proprio andare quotidiano, scopra delle “pietre” e cominci a chiedersi cosa sono e chi le ha messe proprio lì. Questa è la storia di Argentino D’Arpino che notando questi “cippi” lungo un sentiero vicino casa, decise di seguirne tutto il percorso, dal tirreno all’Adriatico, come un filo rosso che potesse condurlo alla rivelazione di un tesoro nascosto.
E in tesoro c’era: il tesoro che parlava di un antico Regno, ricchezza di memoria, testimone d’identità, rivelatore d’una nazione secolare; quelle pietre segnavano il confine d’un regno che era Nazione, perché “niente come l’esistenza di un confine, definisce una nazione” (De Angelis).
Da questi fatti, risalenti a ben 15 anni fa, è partito il progetto di recupero di questi cippi di confine, come riscoperta della memoria ma anche come volano per il futuro, attraverso la creazione di un turismo attento alla cultura storica e paesaggistica.