Giuseppe Vozza Editore per amore meridionalista per senso del dovere e per amore del territorio
Di Fiore Marro
Caserta 18 marzo 2019
Giuseppe Vozza, già assessore alla Cultura presso il Comune di Caserta, scrittore, giornalista pubblicista, socio di diverse associazioni culturali. Direttore editoriale della Casa Editrice Giuseppe Vozza Editore, che annovera tra le pubblicazioni il mio primo romanzo storico : Un’anima divisa in due.
Presidente dei Comitati Due Sicilie dal 2007 al 2010, esponente di spicco della cultura casertana, è senza dubbio alcuno una delle migliori “menti pensanti” del firmamento meridionale, a lui rivolgiamo oggi l’intervista mensile della nostra rubrica
Perché hai fondato una casa editrice?
Per il mio sconfinato amore per i libri. Partendo dalla mia biblioteca personale, composta di un buon numero, mi chiesi qualche anno se non fosse il caso di procedere a fondare una casa editrice. Ovviamente il mio proposito era molto retorico, perché di lì a poco iniziai questa bella quanto sempre nuova attività, che mi ha fatto conoscere tantissime persone, ognuna delle quali con la sua verve apre nuove dimensioni culturali. Il mio proposito era quello di rompere un po’ la monotonia culturale che permea non solo la nostra zona, ma l’intera Penisola. Fare casa editrice allora significa dare la possibilità a qualcuno di esprimersi, perché il problema in cui ci dibattiamo giorno dopo giorno ed in ogni luogo è che non c’è alcuna circolazione di uomini e di idee.
Ma tu sei anche stato assessore alla Cultura del Comune di Caserta?
Sì, lo sono stato per poco più di un anno. È stata un’esperienza bellissima, perché fare politica, almeno come lo intendo io, significa veramente praticare il concetto di ‘bene comune’, vale a dire che fare politica significa misurarsi in continuazione coi più disparati problemi dei cittadini, i quali nella gran parte aspirano solo a che vengano realizzate delle opere che interessino la collettività. Purtroppo, quell’esperienza finì ben presto per mere questioni politiche, in quanto allora come ora si cerca sempre di privilegiare il proprio orticello piuttosto che la polis.
Dopo questa esperienza che cosa hai fatto?
Beh, per quanto la politica mi sia sempre piaciuta, quell’esperienza amministrativa mi spinse ad esplicitare il mio impegno in un modo diverso, in un modo più metapolitico. Impegnarsi per la realizzazione del ‘ben comune’ non significa solo fare attività politica tradizionale, ma anche e soprattutto in altri modi, entrando in associazioni culturali, organizzando convegni, pubblicando libri e sempre e solo nell’ottica di spezzare quella monotonia culturale che avvinghia l’attuale panorama. Basti guardare un po’ i telegiornali o i cosiddetti programmi di approfondimento per avere la prova provata che c’è sempre e solo autoreferenzialismo, scambio di piaceri (io presento il tuo libro e tu presenti il mio; a proposito ma tutti quei messaggi pubblicitari sono o no a pagamento?), demonizzazione di chi non la pensa come loro. Insomma c’è una cappa che propone sempre le stesse idee e le stesse persone. Ciò posto cerco di portare il mio contributo, seppur modesto, a sconvolgere un po’ il politicamente corretto del pensiero unico.
Ed in questo si inquadra anche la tua scelta nel fondare i Comitati delle Due Sicilie?
Certo. Per mia formazione culturale sono contrario a qualsiasi tipo di monopolio, pertanto, ritengo che sia sempre meglio avere più voci sullo stesso argomento. Era necessario allora, come è lo ora, avere anche un’altra versione del modo di essere meridionalista. A me interessa soprattutto che non ripetiamo sempre gli stessi messaggi, gran parte dei quali imperniati sulla storia. Noi dobbiamo convincerci che siamo uomini del terzo millennio. Dal 1860 ad oggi non solo vi sono state alcune importanti ideologie, che hanno segnato la vita degli uomini e dei popoli, ma negli ultimissimi decenni stiamo assistendo ad un fenomeno che non ha precedenti: l’omologazione continua, che passo dopo passo va ad interessare e colpire ogni momento della nostra vita. Non c’è nulla che sia immune dalla continua mondializzazione, o globalizzazione che dir si voglia. La lingua ed il sesso, le tradizioni ed il tempo libero, la scuola e la medicina e via di seguito secondo la mondializzazione deve essere ripetuto, condiviso, egualizzato. Nessuno più ha diritto a vivere la sua vita. È su questa maledetta mondializzazione che dobbiamo interrogarci come uomini del Sud e dobbiamo dare delle risposte, che potranno anche non essere esaustive, perché nulla è esaustivo, ma dobbiamo contrastare le più diverse imposizioni politico-culturali.
Puoi fare un esempio concreto?
Si fa un parlare di giovani e lavoro. Ma abbiamo mai pensato a quello che Stato patrigno dal 1860 ad oggi ha riservato a noi abitanti del Sud? In un primo momento siamo stati costretti ad emigrare in America, perché i terreni agricoli furono accaparrati tutti dai cosiddetti ‘galantuomini’, successivamente sono stati chiamati al fronte per combattere con l’Impero Austro-Ungarico ed in quella guerra, la Grande Guerra, circa mezzo milioni di soldati del Sud furono ammazzati, molti addirittura furono considerati disertori perché non capivano gli ordini in piemontese, poi v’è stata la seconda guerra mondiale, dopo la quale al nord servivano le braccia e noi sempre a guardare ciò che avveniva nella Penisola, poi le braccia non servivano e si aveva bisogno delle menti, soprattutto menti allenati a scuola ed all’università, negli ultimi anni ci hanno costretto ad essere solo consumatori, per loro, per le centrali finanziarie nordiste e sovranazionali l’importante è che noi li rimpinguiamo continuamente di denaro fresco. Ebbene rispetto a questa distruzione di territorio e di uomini che cosa si è pensato di fare? Ci siamo posti questa domanda? E se sì quali sono le risposte? Possiamo mai continuare a crogiolarci nei primati del tempo che fu? Iniziamo, invece, ad innescare un diverso percorso di sviluppo culturale, sociale ed economico, privilegiando sempre e solo ciò che è del Sud. Solo come consumatori abbiamo una formidabile arma. Basta saperla usare e non saremo più terra di conquista.