di Lucia Di Mauro
Napoli, 17 marzo 2018
Anche per quest’anno non ci sarà risparmiata la grande e retorica ipocrisia nelle celebrazioni del 17 marzo, data in cui si vuole commemorare la proclamazione del regno d’Italia da parte del nuovo parlamento saboitaliota, nel 1861.
L’illegittimità di tale operazione, a ragion veduta, era indiscutibile in quanto fu realizzata attraverso un atto normativo del Regno di Sardegna (legge del 17 marzo 1861, n. 4761 ), in cui Vittorio Emanuele e i suoi successori assunsero il titolo di re d’Italia, tutto ciò dopo un falso plebiscito che non solo induceva al voto per il regno d’italia con manovre intimidatorie, ma era comunque contrassegnato da un elettorato scelto in base alcenso (come voleva la legge elettorale del 1948 approvata nel parlamento del Regno di Sardegna che divenne, poi, la legge elettorale italiana dopo l’unificazione), dunque appartenente a categorie sociali borghesi e massoniche.
Il novello staterello tuttavia non eredità soltanto la legge elettorale dal regno di Sardegna, ma anche lo Statuto albertino, chiamato Statuto Fondamentale della monarchia di Savoia, una sorta di costituzione monarcosabauda, che sarà in vigore nello stato italiano fino al 1946.
Lo statuto albertino fu scritto il lingua francese, tale lingua sarà quella ufficiale del regno d’italia e non l’italiano, anzi non tutti sanno che l’italiano ancora oggi è la lingua ufficiale della Repubblica di San Marino e dello Stato Città del Vaticano, ma non dello stato italiano, come deducibile dalla Costituzione che è il basamento della nostra legislazione. Di fatto lo stato italiano non ha una sua lingua ufficiale.
Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani, sentenziò d’Azeglio, ma personalmente non capisco come si sia potuto chiamare Italia questa sorta di prolungamento forzato del regno dei savoia, che di civiltà italica aveva poco o nulla.
Si è voluta cancellare l’identità dei molti popoli che abitavano la penisola, in modo forzoso e violento, per asservirli ai fini massonici e sabaudi.
Tuttavia il trattamento più cruento e spietato lo subì il Regno delle Due Sicilie, un regno ricco che doveva essere depredato, per risollevare le sorti delle finanze piemontesi, e poi spazzato via, perchè di grande intralcio all’espansione del mercato albionico, nonchè, per volontà massonica, perchè fedele al papa.
Fu una carneficina. Dal 1861 al 1871, come scrive Ciano, un milione di persone furono abbattute su una popolazione complessiva di 9.117.050.
Alcuni giornali stranieri pubblicarono delle cifre terrificanti: dal settembre del 1860 all’agosto del 1861 vi furono 8.968 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati, 918 case incendiate e 6 paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati. (web).
Si fu un genocidio, non soltanto di uomini ma anche di cultura ed arte.
Cancellati i primati, la lingua relegata a dialetto , la nostra letteratura nascosta, tutto per dare un falso alibi morale ad un’invasione non dichiarata e violenta, che doveva raccontare di un popolo buono che va a liberarne un altro ignorante,arretrato ed ontologicamente delinquente (lombroso).
Ma l’Italia ha continuato ad essere matrigna per il popolo del suo mezzogiorno, anche dopo i fatti unitari. Infatti dopo la II guerra mondiale tutto era distrutto ed il paese venne a trovarsi in un sostanziale livellamento economico. Se si fosse agito in modo equo questa sarebbe stata una grande occasione per consentire lo sviluppo paritario di tutte le zone dello stivale, invece la scelta fu quella di sempre dal 1861, fu scelta di disparità, di asservimento d’una parte della nazione allo sviluppo dell’altra: i soldi del piano Marshall, che la volontà di espansione del sistema economico americano portò in Europa e in Italia, furono immessi nel sistema produttivo del nord . Come conseguenza di tali scelte nascerà l’emigrazione interna dal sud al nord, che sarà, per la nostra gente, ancora più umiliante di quella generatasi nel periodo post risorgimentale.
I cittadini di uno stesso stato dovrebbero condividere la medesima sorte ed invece nel caso italiano ci sono stati differenti sviluppi economico sociali tra nord e sud.
Uno stato che non sia nazione, cioè espressione di una stessa identità di popolo, è solo un atto giuridico in cui la gente non si riconosce.
Napoli is not Italy è il ribelle e veritiero grido che si alza dagli spalti d’una curva dello stadio, traboccante d’orgoglio e identità.
17 marzo, festa dell’unitò
No, 17 marzo, memoria di 157 anni di sangue, fango, silenzio.
Io niente ho da festeggiare!
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Si dice che il tempo guarisce le ferite, sì ma non le nostre, i neoborbonici. Scoprire tante verità nascoste le ferite non si rimarginano, ma riprendono a sanguinare e cresce lavoglia di una ribellione.