Quando gli inglesi fecero fallire i proprietari siciliani delle miniere di zolfo con una volgare speculazione
6 ottobre 2021
Redazione CDS
Ferdinando II di Borbone si oppose a questa porcata inglese e questo fu uno dei motivi della fine del Regno delle Due Sicilie.
Gli inglesi non hanno mai amato la Sicilia. Al pari della Repubblica italiana, l’hanno sempre sfruttata per i propri interessi. Ben più grave e più nota fu la questione degli zolfi siciliani, il cui commercio – come scrive Domenico Capecelatro Gaudioso nel suo saggio Ottocento Napoletano – fino al 1838, era stato libero, per cui molti inglesi erano divenuti proprietari di solfatare.
Gli inglesi, allo scopo di instaurare un monopolio nel commercio stesso, si unirono in trust, creando così, una grande, unica e ricca società inglese, in maniera d’avere la possibilità di aumentare lo sfruttamento del minerale in proporzione superiore alle richieste, per cui il prezzo dello zolfo sul mercato calò vertiginosamente, con grave danno dei piccoli proprietari di solfatare, che vennero a trovarsi in una critica situazione. Un Re, un vero Re (e Ferdinando II lo era) a questo punto aveva il dovere di salvaguardare gli interessi dei suoi sudditi che, in casa loro, rischiavano il fallimento a causa delle speculazioni da parte di commercianti di un’altra nazione che tutto inquadrava in un’ottica imperialistica e che mal tollerava opposizioni ai suoi interessi politici ed economici: l’Inghilterra…
Gli inglesi non hanno mai amato la Sicilia. Al pari della Repubblica italiana, l’hanno sempre sfruttata per i propri interessi…lo stesso Governo (Borbonico, che istituì di conseguenza il monopolio statale sull’estrazione del minerale, n.d.scr.), aveva risposto picche alla richiesta di abolizione del monopolio statale e, logicamente, non aveva alcuna intenzione di aderire alla richiesta dell’immancabile (e ti pareva) risarcimento danni. La Gran Bretagna non volendo riconoscere quanto fossero assurde, arroganti ed in mala fede le sue pretese, conscia della circostanza d’essere nella disputa la più forte, inviò nelle acque territoriali di Napoli e Sicilia una squadra navale da guerra, con l’incarico di procedere alla cattura di tutte le navi napoletane, dirottandole nel porto di Malta, minacciando che il rilascio del naviglio catturato sarebbe avvenuto soltanto quando Napoli si fosse decisa a risolvere l contratto stipulato (nel frattempo, n.d.scr.) con la compagnia francese e all’avvenuto pagamento dei danni di cui erasi fatto cenno nella nota diplomatica inglese. Giunta nella rada di S. Lucia la flotta inglese – è sempre il Capecelatro a riportare – Ferdinando II, anziché dimostrarsi intimorito, decretò l’armamento delle coste, l’istituzione di un campo militare presso Reggio Calabria, un vasto richiamo alle armi e l’immediato invio di dodicimila uomini in Sicilia, preparandosi a partire egli stesso, poiché, e non a torto, sospettò che gli inglesi, che segretamente avevano sempre nutrito il proposito, dopo aver creato appositamente il casus belli, d’impadronirsi della Sicilia, avrebbero approfittato della circostanza per concretizzare i loro propositi…
I Borbone caddero, dunque, soprattutto per volere della Gran Bretagna, ma caddero in piedi, nulla potendo contro un vero e proprio intrigo internazionale. L’ultimo Re di Napoli potè portare nel suo silenzioso esilio, a cui la storia lo costringeva, solamente la sua decorosa tristezza, la sua, forse eccessiva, nobiltà d’animo e la dignità di tutta una dinastia, dignità che gli usurpatori di Casa Savoia non conosceranno mai.
Tratto dal libro di Erminio De Biase – L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie, Controcorrente Edizioni, pag. 21, 23, 24, 119.