Il nuovo comandante generale
Abbandonate le posizioni sul Volturno, a parte Capua, Francesco II e il suo governo inviarono una lettera a Ritucci in cui suggerivano un piano per dar battaglia ai piemontesi, sfruttando le forti posizioni fra Sessa e il Garigliano. Anche questa volta il comandante napoletano respinse le pressione per un”offensiva. Una battaglia campale, con la quale infliggere una dura sconfitta ai piemontesi, rimaneva l”ultima speranza per poter capovolgere la disperata situazione della causa borbonica.
CosAi??, il 23 ottobre, Francesco II sostituAi?? il prudente Ritucci con il gen. Giovanni Salzano de Luna, napoletano settantenne, veterano murattiano che aveva combattuto nello sbarco di Capri del 1808, nel tentato sbarco in Sicilia del 1810, nelle campagne d”Italia del 1814-15; si era distinto nelle campagne di Sicilia del 1820 e del 1849; come comandante della piazzaforte di Capua aveva diretto mirabilmente la difesa dagli spalti il 19 settembre e il 1Ai?? ottobre 1860, guadagnandosi la promozione a tenente generale e la croce di commendatore di S. Giorgio. Salzano, pur non avendo grandissime doti di stratega, aveva avuto una condotta decisa nei suoi precedenti comandi: la piazza di Palermo prima e quella di Capua poi. Ma anche lui giunse alla conclusione di dover costituire la nuova linea di resistenza sul Garigliano, rinunciando alla battaglia campale.
La politica estera di Francesco II
Intanto Francesco II operava anche sul piano politico, inviando il 24 ottobre un manifesto a tutti i sovrani d”Europa, col quale sottolineava la condotta scorretta e aggressiva del Regno di Sardegna e di suo cugino Vittorio Emanuele II, il quale, dichiarandosi amico, aveva prima sostenuto in segreto Garibaldi, poi aveva invaso le Due Sicilie col suo esercito. Chiedeva, inoltre, aiuto a questi sovrani per recuperare il trono in base ai principi legittimisti cari a tutte le monarchie.
Ma dal convegno di Varsavia giunsero cattive notizie: i propositi interventisti dell”Austria erano stati accolti con freddezza da Prussia e Russia, mentre Napoleone III aveva rifiutato la proposta del primo ministro austriaco Klemens Wengel Lothar, prAi??ncipe di Metternich-Winnenburg, di restaurare i Borbone sul trono di Napoli anche con la forza. Cavour tirA? un sospiro di sollievo, e la frontiera sul Mincio non lo preoccupA? piA?, concentrandosi sulla conquista delle Due Sicilie.
L”incontro di Teano
Salzano riunAi?? i suoi luogotenenti in consiglio, dove, quasi all”unanimitAi??, si decise di abbandonare Teano, considerata una posizione debole, per schierarsi piA? a nord fra Cascano e Sessa.
Il 25 ottobre Garibaldi attraversA? il Volturno con 5000 uomini che, passando per Bellona e Vitulazio, dove Bixio si ruppe una gamba cadendo da cavallo, si accamparono la sera a Caianello.
Da Venafro giungevano in quella localitAi?? i piemontesi, al diretto comando di Vittorio Emanuele che, col suo seguito, incontrA? Garibaldi il 26 ottobre al quadrivio di Taverna di Catena, tra Caianello e Vairano, dove quest”ultimo salutA? il Sovrano al grido di “Viva il Re d”Italia”. Poi si diressero a Teano, dove il Re fece intendere che il ruolo militare dei garibaldesi era finito e che l”inseguimento delle truppe borboniche sarebbe stato cA?mpito del contingente piemontese da affidare al gen. Manfredo Fanti, acerrimo nemico di Garibaldi.
Quest”ultimo, compreso di avere terminato il suo compito, non tentennA? a mettersi da parte, ma fece una richiesta al Re per favorire le sue camicie rosse che, al prezzo di tanto sangue, avevano consegnato quasi l”intero Regno delle Due Sicilie alla dinastia dei Savoia: l”integrazione dei garibaldesi nel nuovo Esercito Italiano che stava per nascere. Vittorio Emanuele rispose evasivamente, dimostrando una grande e inopportuna ingratitudine. CosAi?? soldati valorosi e quadri di esperimentata efficacia vennero dispersi per la meschina miopAi??a dei capi dell”esercito piemontese che non intendevano “contaminare” il loro strumento militare con truppe irregolari formate da molti uomini di idee repubblicane. Solo nel 1862, dopo furiose polemiche, sarebbero stati ammessi nell”Esercito Italiano 1854 ufficiali garibaldesi, fra i quali Bixio, Carini, Orsini, SAi??rtori, Turr, MAi??dici e Cosenz.
Il combattimento di Sessa
Mentre i napoletani erano in fase di ritirata verso il Garigliano, Cialdini tentA? di agganciarli nel pomeriggio del 26 ottobre, investendo l”ala sinistra nemica nel villaggio di S. Giuliano, fra Teano e Sessa. Qui erano schierate la 3^ div. del brig. Antonio Echanitz (nato a Nicosia nel 1809) e la brigata del col. Giovanni D”Orgemont, appoggiate dall”artiglieria del neopromosso gen. Negri schierata a Cascano. Dopo essere entrati in contatto con le truppe di Cialdini, circa 10000 uomini, Echanitz e D”Orgemont furono rinforzati dalla brg Polizzy e da quella estera del col. Mortillet che assaltarono lo schieramento nemico di fronte e di fianco, facendolo retrocedere.
A questo punto, non sfruttando il momento favorevole, Salzano fece ritirare le sue truppe dietro il Garigliano, dove le schierA? a difesa del fiume. A coprire la ritirata ci pensA? la btr nAi?? 10 del cap. Francesco Tabacchi che da Cascano diresse il tiro contro i piemontesi che tentavano di agganciare la retroguardia napoletana.
Lo scontro passA? alla storia come combattimento di Sessa, dove i napoletani ebbero una ventina di morti e lo stesso numero di feriti, i piemontesi perdite piA? gravi.
L”assedio di Capua
Nello stesso tempo incominciava l”assedio di Capua, dove era stato inviato a dirigere le operazioni il gen. Enrico Morozzo della Rocca con una parte del V corpo d”armata, circa 6000 uomini, da affiancare ai 12000 garibaldesi giAi?? in posizione di fronte alla piazzaforte. Garibaldi, per non creare problemi diplomatici, se ne andA? a Napoli a svolgere il suo ruolo di dittatore, lasciando il comando a SAi??rtori, il quale avrebbe preso ordini da della Rocca. Quest”ultimo poteva contare su un”ottima artiglieria rigata di grosso calibro e sui lavori del genio diretti dal gen. Luigi Federico MenabrAi??a.
Dopo la nomina di Salzano a comandante generale dell”esercito, al comando della fortezza di Capua era stato posto il neopromosso mar. Raffaele De CornAi??, suo vice, che poteva contare su 8000 fanti (2Ai?? btg gendarmeria, rgt di linea 9Ai?? e 10Ai??, piA? i resti del 2Ai??, 4Ai?? e 8Ai??) , su 500 artiglieri appartenenti ad un btg del rgt Regina (l”altro btg si era ritirato a Gaeta) ed alla btr nAi?? 2, sul 1Ai?? btg del rgt carabinieri a cavallo, sul 2Ai?? squadrone di gendarmeria a cavallo, sul btg zappatori-minatori, sulla 2Ai?? direzione del genio, piA? i reparti servizi, per un totale di circa 10000 uomini. In batteria, oltre a quattro pezzi da campagna, c”erano 240 vecchi cannoni ad anima liscia, con gittata molto piA? corta di quelli piemontesi. Malgrado la numerosa guarnigione, la fortezza aveva numerosi punti deboli: modestia delle difese esterne; scarse riserve di polvere; vicinanza delle abitazioni civili; vetustAi?? dell”artiglieria.
Il comandante della guarnigione, mar. De CornAi??, nato a Napoli nel 1796, era un valoroso ufficiale del genio, veterano dell”esercito borbonico siciliano, col quale aveva partecipato alle campagne d”Italia del 1814-15 contro gli eserciti del vicerAi?? Eugenio e del re Gioacchino Murat. Nel settembre del 1860 si era guadagnata la croce di ufficiale di S. Giorgio per lo zelo e l”operositAi?? con cui aveva collaborato col comandante di piazza mar. Salzano.
Il 28 ottobre della Rocca inviA? un”intimazione di resa a De CornAi??, il quale, dopo aver tenuto consiglio con i suoi luogotenenti, decise per la resistenza.
Nei giorni 28, 29 e 30 i napoletani tentarono tre sortite con il 1Ai?? btg carabinieri a cavallo e il 2Ai?? squadrone di gendarmeria verso S. Angelo, senza raggiungere, perA?, risultati significativi.
Il 1Ai?? novembre 27 grossi calibri piemontesi cominciarono il fuoco verso Capua. Sparavano da circa tremila metri, protetti da terrapieni e spalleggiamenti, divisi in sei batterie poste in ambedue le sponde del Volturno. L”abitato di Capua, avvolto dal fumo e dalle fiamme, divenne un inferno, provocando paura e disperazione tra i 12000 abitanti. CosAi?? il sindaco e l”arcivescovo Cosenza implorarono il gen. De CornAi?? di far cessare questo massacro di civili con la resa. Riunito un nuovo consiglio militare, considerato che i loro vecchi cannoni non riuscivano a contrastare efficacemente il tiro nemico, gli ufficiali si pronunciarono quasi tutti per la resa.
La mattina del 2 novembre De CornAi?? fece alzare la bandiera bianca, inviando un parlamentare a della Rocca per chiedergli l”autorizzazione a mandare una richiesta di resa a Francesco II. Della Rocca rifiutA?, chiedendo una resa immediata e ricominciando a bombardare. Nel pomeriggio De CornAi?? firmA? la capitolazione. I 10000 napoletani, usciti dalla fortezza con l”onore delle armi, furono inviati in prigionia a Genova.
Il combattimento del Garigliano
. Intanto sul Garigliano i napoletani preparavano le difese, scavando trincee, allestendo le postazioni di artiglieria e distruggendo tutti i ponti e i traghetti del Garigliano e del Liri fino a Pontecorvo, in modo da prevenire aggiramenti da est. La chiave della posizione era il ponte ferrato di Minturno, a due chilometri dalla foce, a cui fu tolta la pavimentazione. Il fianco destro dello schieramento napoletano era protetto dalla flotta francese dell”ammiraglio Barbier de Tinan, che teneva lontana la squadra navale di Persano.
Il 27 ottobre Francesco II, accompagnato da Salzano, passA? in rassegna la truppa, incoraggiandola alla resistenza. Il Re fu accolto con entusiasmo dai soldati, i quali
possedevano ancora molto spirito combattivo. Sul fiume furono schierati il 2Ai?? (mag. Castellano), il 3Ai?? (mag. Paterna) e il 4Ai?? btg cacciatori (mag. Barbera), le quattro cmp scelte del 3Ai?? rgt di linea (t. col. Cortada), tre squadroni di lancieri ed uno del 1Ai?? rgt A?ssari, le btr nAi?? 1, 3, 4 e 6 con trentadue cannoni, piA? i resti del 14Ai?? rgt di linea (col. Zattara) in riserva. Tutto lo schieramento era al comando del mar. Filippo Colonna, valoroso veterano murattiano sessantunenne, discendente da una nobile ed antichissima famiglia romana; appena sedicenne aveva partecipato alla campagna d”Italia del 1815 come sottotenente dei cavalleggeri della guardia; nel 1849 aveva partecipato alla spedizione nello Stato Pontificio, combattendo a Velletri alla testa di un reparto di lancieri e meritandosi le decorazioni ricevute dal Papa, dalla Regina di Spagna, da Napoleone III e dal Granduca di Toscana; nella primavera del 1860, al comando di una brigata, aveva partecipato ai combattimenti nella zona di Palermo; in estate era stato messo al comando della 1 colonnello e il comando del 1Ai?? rgt dragoni per merito del primo ministro Filangieri che lo stimava molto.
L”attacco piemontese si sviluppA? la mattina del 29 ottobre, quando tre forti colonne di fanteria, protette da cinque squadroni di cavalleria, avanzarono dalla pianura a sud del Garigliano. Nella testa di ponte a sud del fiume c”erano ad attenderli i cacciatori del 2Ai?? btg, micidiali tiratori con le loro moderne carabine rigate, i quali, per piA? di un”ora, riuscirono a contenere valorosamente l”attacco nemico; poi, in ordine, si ritirarono a nord del ponte di Minturno, togliendo le ultime tavole della pavimentazione.
L”assalto al ponte fu portato dai bersaglieri che, con incredibile audacia ed abilitAi?? ginnica, tentarono l”attraversamento sulle nudi assi di ferro, sottoposti ad un fuoco infernale di fucileria e dell”artiglieria del gen. Negri. Tre volte attaccarono e tre volte furono respinti, anche grazie all”intervento del gen. Barbalonga che fece schierare la batteria nAi?? 13 ed il 14Ai?? btg cacciatori sull”ala sinistra napoletana, in un”ansa del fiume che permetteva di colpire d”infilata gli attaccanti, i quali, sotto il fuoco incrociato, furono costretti a ritirarsi con gravi perdite, inseguiti dal 2Ai?? btg cacciatori che fece 40 prigionieri. Sul campo erano rimasti 80 bersaglieri e 11 napoletani, piA? varie decine di feriti. Fra i caduti c”era il migliore ufficiale dell”artiglieria borbonica, quel prode Matteo Negri passato in due mesi dal grado di maggiore a quello di generale per meriti di guerra.
Negri, nato a Palermo nel 1818, era stato un ufficiale di vivo ingegno, di cultura superiore e di preparazione tecnica non comune. Nella sua carriera si era distinto nella spedizione di Sicilia del 1849, durante la quale era stato gravemente ferito nell”attacco a Catania, venendo decorato con la croce di diritto di S. Giorgio e con la medaglia d”oro della campagna. Il 19 settembre 1860, durante la campagna del Volturno, aveva diretto con valore e perizia i cannoni di Capua, respingendo l”attacco di Garibaldi e guadagnandosi la promozione a colonnello. Appartenente allo stato maggiore del gen. Ritucci, durante la battaglia del 1Ai?? ottobre era stato presente dove piA? infuriavano i combattimenti, conducendo batterie sul campo, sostenendo i soldati, esortando i piA? demoralizzati; per il valore dimostrato, il Re lo aveva decorato con la croce di commendatore di S. Giorgio e promosso brigadiere. Durante la ritirata dal fronte del Volturno si era distinto nuovamente durante il combattimento di retroguardia di Cascano. Sul Garigliano aveva personalmente organizzato la collocazione delle batterie e diretto il tiro dei cannoni, fino a quando, durante un attacco dei piemontesi, si era appostato, in groppa al cavallo, dietro la btr nAi?? 4 per incoraggiare gli artiglieri; qui era stato prima ferito al piede sinistro, poi, pochi minuti dopo, al ventre; era spirato al tramonto in una casina di campagna di Scauri. Fu, probabilmente, la figura di militare napoletano che piA? emerse nella campagna del 1860-61, per gli alti sentimenti di fedeltAi??, di onore e di spirito di sacrificio.
Il combattimento del Garigliano fu l”ultimo episodio incoraggiante per Francesco II, il quale emise un proclama e concesse una medaglia commemorativa della campagna di settembre e ottobre 1860.
La ritirata a Mola di Gaeta. Per Cialdini fu uno scacco bruciante, malgrado il grande valore dei bersaglieri. Indubbiamente il Garigliano, difeso da truppe agguerrite e protetto sul fianco dalla flotta francese, rappresentava un ostacolo durissimo. Il problema fu risolto dalla diplomazia. Su pressioni di Torino e soprattutto di Londra, che si appellavano al non intervento, Napoleone III ordinA? all”ammiraglio le Barbier de Tinan di fare arretrare la flotta, limitando la protezione alla sola Gaeta.
La notte fra il 1Ai?? e il 2 novembre la squadra navale di Persano avanzA? verso la foce del Garigliano e cominciA? il bombardamento, cogliendo di sorpresa le truppe napoletane e sconvolgendo i piani di Francesco II che contava sull”appoggio delle navi francesi per sostenere una lunga resistenza sul fiume. Proprio l”argomento delle navi era servito al Re per opporsi alla proposta di Salzano di portare l”esercito sulle montagne per intraprendere una guerra partigiana, come quella opposta all”invasore francese nel 1799 e nel 1806. Ora, sgomento da questa svolta, Francesco ordinA? la ritirata la mattina del 2 novembre.
Le truppe borboniche si schierarono in gran parte a Mola di Gaeta (attuale Formia), lasciando in copertura sul ponte di Minturno due cmp del 6Ai?? btg cacciatori, al comando del valoroso capitano abruzzese Domenico Bozzelli. La sera la div. Granatieri di Sardegna del gen. de Sonnaz attraversA? il fiume su un ponte di barche, agganciando e distruggendo le due cmp di cacciatori, le quali, con estremo valore, si sacrificarono fino all”ultimo uomo per ritardare l”avanzata del nemico e consentire una ritirata indisturbata ai propri commilitoni.
La stessa sera un consiglio di guerra composto dai generali Salzano, Ruggiero, Colonna, Sanchez de Luna, Polizzy, Bertolini e Barbalonga stabilAi?? che, se attaccata da mare, Mola non sarebbe stata difesa, e le truppe si sarebbero ritirate verso Gaeta. Il Re e il ministro della guerra Ulloa, invece, propendevano per inviare l”esercito in Abruzzo, dove avrebbe goduto dell”appoggio attivo della popolazione, per poi operare da lAi?? alle spalle dei piemontesi assedianti Gaeta. Alla fine si decise di inviare alcuni reparti a rinforzare la guarnigione di Gaeta, mentre il grosso si sarebbe ritirato verso Itri, poco all”interno dal golfo di Gaeta.
Il combattimento di Mola di Gaeta. Dopo un piccolo scambio di colpi tra le navi piemontesi e l”artiglieria napoletana, avvenuto il 2 novembre, Persano attaccA? Mola la mattina del 4 novembre con 14 navi, distruggendo case e strade e provocando il pAi??nico fra la popolazione, che cominciA? a fuggire per rifugiarsi nelle grotte. I napoletani rispondevano con il fuoco di cinque cannoni piazzati sulla spiaggia, i quali, perA?, furono ridotti al silenzio uno dopo l”altro.
Verso le tre pomeridiane avanzarono i granatieri di Sardegna di de Sonnaz, con una colonna verso la collina di MarAi??nola, alle spalle della cittadina, con l”altra colonna verso l”ingresso dell”abitato. LAi?? erano schierate la brg esteri, al comando del col. de Mortillet (von Mechel, stanco e malato, si era messo in ritiro), in prima linea e la brg Polizzy in seconda; dopo aver ricevuto l”ordine di ritirata, ripiegarono sotto l”infernale fuoco della flotta. La brg esteri, a contatto con i granatieri nemici, oppose scarsa resistenza e, poi, si sbandA?. Nella ritirata la confusione fu enorme. Sotto lo scoppio delle granate fuggivano frammischiati nelle strette vie carri, ambulanze, artiglieria, fanti, nonchAi?? la popolazione civile che si portava dietro ogni tipo di oggetti e masserizie. Pigiati e urtandosi, si allontanavano dalla cittadina, fra urla, pianti e bestemmie. De Sonnaz non seppe approfittare dello sbandamento del nemico, avanzando con troppa prudenza, quando aveva di fronte ormai solo alcune compagnie del 10Ai?? btg cacciatori, al comando del cap. Ferdinando De Filippis, e gli svizzeri della batteria nAi?? 15, costituenti la retroguardia napoletana, i quali opposero una tenace, anche se breve, resistenza, per poi ritirarsi. Fra i caduti del combattimento ci fu lo stesso comandante della batteria, il cap. Enrico Fevot.
Resa a Terracina
Una buona parte della truppa napoletana, oltre 17000 uomini al comando del mar. Giuseppe De Ruggiero (napoletano di 68 anni), comandante della cavalleria, si ritirarono a Terracina, in territorio pontificio, per la via di Itri e Fondi. Si trattava dei seguenti reparti: le 4 compagnie scelte del 3Ai?? rgt di linea (t. col. Cortada), resti del 14Ai?? rgt di linea (col. Zattara), 1Ai?? btg cacciatori (mag. Armenio), 5Ai?? btg cacciatori (mag. Musitani), 11Ai?? btg cacciatori (privo di comandante), 1Ai?? e 2Ai?? btg carabinieri leggieri esteri (col. De Mortillet), guide dello Stato Maggiore (cap. Capece Galeota), un btg del 1Ai?? rgt lancieri (mag. Pollio), un btg del 2Ai?? rgt lancieri (mag. Cessari), il 1Ai?? rgt dragoni (col. Della Guardia), un btg del 2Ai?? rgt dragoni (col. Antonio Russo), il 3Ai?? rgt dragoni (col. Rodolfo Russo). Francesco II trattA? con il Papa e con il comandante del contingente francese di Roma, gen. Charles Marc Goyon, per fare rimanere di guarnigione nello Stato Pontificio i soldati napoletani. Nel frattempo giunse pure la flotta piemontese e il gen. de Sonnaz che tentA? di convincere De Ruggiero ad arrendersi. Il 6 novembre, perA?, giunse la risposta di Goyon, il quale comunicA? che i napoletani potevano trattenersi nello Stato Pontificio a condizione
di deporre le armi. De Ruggiero accettA? ed ordinA? anche alla brg di Klitsche de la Grange di ritirarsi a Terracina per la resa, danneggiando enormemente la causa borbonica negli Abruzzi. I soldati furono inviati a Velletri, dove consegnarono le armi ai francesi, e lAi?? congedati il 26 dicembre 1860. Francesco II pensA? ad inviare alcuni ufficiali per salutare e ringraziare la truppa del loro servizio, nonchAi?? per consegnargli la liquidazione.
L”istmo di Montesecco
Oltre i circa 12000 uomini della guarnigione, davanti a Gaeta, nell”esiguo territorio dell”istmo di Montesecco, ne erano accampati altri 11000, appartenenti ai reparti che, non ubbidendo agli ordini, non si erano diretti su Itri, ma avevano cercato riparo nella piazzaforte, per continuare a combattere per il loro Re. Farli entrare nella fortezza avrebbe ridotto notevolmente le possibilitAi?? di resistenza, terminando in breve tempo i viveri. CosAi?? Salzano tentA? di trattare la resa delle truppe accampate sull”istmo, proponendo di congedarle e farle tornare a casa. Ma il comandante piemontese, gen. Fanti, capendo che quegli uomini sarebbero stati una zavorra per gli assediati, rifiutA?, proponendo, invece, delle generose condizioni per la resa di tutte le forze borboniche, Gaeta compresa. Dopo lunghe trattative, si giunse solo ad un accordo per lo scambio di prigionieri, che avrebbe dovuto svolgersi il 12 novembre.
Nel frattempo le truppe napoletane furono schierate a difesa dell”istmo di Montesecco: all”ala destra, nel borgo (bagnato dal mare del golfo di Gaeta), fu destinato il 15Ai?? btg cacciatori del t. col. Enrico Pianell (fratello dell”ex ministro della guerra); al centro, sui colli dei Cappuccini e del Lombone, il 14Ai?? e il 3Ai?? cacciatori; all”estrema sinistra, nei pressi della Torre Viola (bagnata dal mare di Terracina), quattro cmp del 3Ai?? btg carabinieri cacciatori esteri, al comando del cap. Johan Rhudolf Hess. In seconda linea furono schierati il 4Ai?? cacciatori nel Camposanto e il 6Ai?? dal Camposanto al colle Atratino. Nella piana di Montesecco, tra la seconda linea e la fortezza, c”erano accampati il 2Ai??, il 7Ai??, l”8Ai??, il 9Ai?? e il 10Ai?? cacciatori. I cacciatori a cavallo erano frazionati in tutta la linea. Le batterie nAi?? 11 e 13 entrarono a Gaeta, mentre la nAi?? 10 fu divisa tra il colle dei Cappuccini e il Borgo, con due cannoni per posto.
Combattimenti sull”istmo
L”11 novembre vi furono delle importanti defezioni che addolorarono Francesco II: diede le dimissioni il comandante generale dell”esercito Salzano, oltre ai generali Colonna, Barbalonga e Polizzy (von Mechel si era giAi?? ritirato per motivi di salute). Al comando delle forze mobili fu, cosAi??, destinato il gen. Vincenzo Sanchez de Luna e capo del suo stato maggiore lo svizzero mag. Aloisio Migy.
La stessa sera i piemontesi attaccarono, tentando di espugnare l”importante posizione di colle Lombone. Dopo tenace resistenza, il 14Ai?? btg cacciatori si ritirA?. Lo stesso Francesco II incaricA? il cap. Sinibaldo Orlando per la riconquista. La mattina del 12 novembre, guidando all”assalto la metAi?? del 14Ai?? cacciatori, Orlando riprese il colle, catturando anche 15 prigionieri. Per questa valorosa azione il capitano fu promosso maggiore sul campo dal Re in persona, che decorA? anche otto ufficiali e sessanta tra sottufficiali e soldati del 14Ai?? cacciatori.
Dopo questo combattimento ebbe inizio la tregua per lo scambio di prigionieri, ma i piemontesi, non mantennero la parola, alle 9 del mattino attaccarono il centro e la sinistra napoletani. Mentre in quella zona si combatteva, sulla destra il t. col. Pianell creA? una falla sulla prima linea, consegnando il suo 15Ai?? btg cacciatori al nemico ed emulando il tradimento del suo fratello ministro; solo 8 ufficiali e 78 soldati riuscirono a fuggire verso Gaeta. Col fianco destro scoperto, il 3Ai?? btg cacciatori, attaccato da forze superiori, fu costretto ad abbandonare il colle dei Cappuccini, ritirandosi sul piano di Montesecco. Il gen. Sanchez de Luna, che guidava le riserve, ordinA? al 3Ai?? di riprendere il colle, e questo lo riprese dopo aspri combattimenti; infine, perA?, circondato dal nemico, dovette abbandonare definitivamente la posizione, aprendosi un varco e ritirandosi sotto la fortezza. Tre compagnie del 3Ai?? rimasero prigioniere per lo scarso coraggio dell”aiutante maggiore del btg, il cap. Guglielmo Santacroce.
All”estrema sinistra, a Torre Viola, le quattro cmp estere furono attaccate da tre btg piemontesi. Non coperti dall”artiglieria dal gen. Rodrigo Afan de Rivera, i carabinieri esteri furono decimati. Su circa 400 uomini, solo 130 riuscirono a rientrare a Gaeta. Fra i prigionieri ci fu anche il loro comandante, cap. Hess.
Sanchez, intanto, riusciva a contenere i pressanti attacchi piemontesi sul Lombone con il 4Ai??, il 10Ai??, il 14Ai?? e quattro cmp del 2Ai?? btg cacciatori. Stessa situazione al Camposanto, dove reggevano i btg cacciatori 7Ai??, 8Ai?? e 9Ai??. Dopo circa nove ore di combattimenti i soldati napoletani, sfiniti e digiuni, furono autorizzati dal Sovrano a ritirarsi dentro le mura.
I combattimenti del 12 novembre erano costati ai borbonici 74 caduti (fra i quali 3 ufficiali) e 43 feriti (7 ufficiali), piA? oltre 1000 fra prigionieri e disertori. I piemontesi avevano conquistato tutte le posizioni esterne alla fortezza, dando inizio all”assedio. All”interno di Gaeta una troppo numerosa guarnigione, 1770 ufficiali e 19700 sottufficiali e soldati, si apprestavano a difendere l”ultimo baluardo del loro Re.
Liquidazione dell”Esercito Meridionale
Mentre tra il Garigliano e Gaeta si combatteva, a Napoli si verificava uno dei piA? gravi episodi di ingratitudine che la storia conosca: la liquidazione dell”Esercito Meridionale e del suo comandante, il gen. Giuseppe Garibaldi, anima ed esecutore di un”impresa ritenuta impossibile, come la conquista di un Regno con un pugno di uomini.
Il 6 novembre era in programma la piA? importante cerimonia per i garibaldesi: il Re in persona avrebbe dovuto passare in rivista i reduci, schierati, fin dal mattino, nella spianata davanti al palazzo reale di Caserta. Dopo una lunga attesa giunse la notizia che Vittorio Emanuele II era stato trattenuto da altri impegni. Malgrado questa incredibile mancanza di riguardo, l”indomani Garibaldi da vero giannizzero,accompagnA? il Re a Napoli per l”ingresso solenne nella capitale del Regno.
L”8 novembre Garibaldi passA? le consegne al nuovo luogotenente per i territori delle Due Sicilie, il suo acerrimo nemico Luigi Carlo Farini. Il 9, dopo aver rifiutato il collare dell”Annunziata (massima onorificenza sabauda), il grado di maresciallo ed una ricca pensione, Garibaldi si imbarcA? mesto e deluso, ritirandosi nella sua povera dimora di Caprera, un isola intera a titolopersonale.
Il 26 novembre il governo di Farini sciolse i reparti garibaldesi, inviando tutti a casa con sei mesi di paga. CosAi?? furono messi da parte i protagonisti dell” impresa dei Mille, della conquista del Regno delle Due Sicilie, della caduta della dinastia borbonica di Napoli.