Popoli delle due Sicilie! Se brilla ancor trasfusa nel vostro sangue 1′ avita gloria de’ Marrucini, de’ Sanniti, de’ Oauni, de’ Campani, degli Ausonii, de’ Volsci. Se discendenti di un Licinio, di un Onorati, di un Quartapelle, di un Gagliardi, di un Chefalo, nomi cari alla patria , ambite di seguirne le orme; e se questa eletta terra A? il tempio ove arde il fuoco sacro delle arti ingenue, deh! ridestate quell’entusiasmo che un di v’incoraggiA? alle utili e grandi imprese.
Licinio respirA? le prime aure di vita in Venafro, antica cittAi?? di Terra di Lavoro , che Orazio ricorda nella Ode 5 come luogo di diporto e di delizie. Fu Licinio che introdusse colAi?? delle piante di Ulivo , le quali furono dette Liciniane , e decantate da Plinio e da Columella per l’olio eccellente che somministrano. I suoi concittadini affin di eternare la sua memori i gAi??’ innalzarono un monumento condotta e lusinghiera iscrizione. Jl benemerito Dott. Giovanni Sannicola per far conoscere una siffatta eroica azione de’ suoi compaesani , ha resa di ragion pubblica la iscrizione in un suo articolo Monumento a Licinio in Venafro inserita nel Giornale Abruzzese n. 33 , Sett. i839.
e che tanto in pace, che in guerra fra gli altri popoli vi distinse. Innestate alle foglie del pacifico albero di Minerva quelle dell’ albero grandioso di Giove; ed il vostro merito istesso v’intreccerAi?? sul crine la doppia corona. Tutto annunzia un’Era novella per l’agricoltura, per la pastorizia , e per le arti. A? dell’amministrazione pubblica l’eccitare, il promuovere: A? de’privati l’agire , l’operare. Fortunati noi, se vedreni dare un altro passo al miglioramento di questa combinata industria, gareggiando ciascuna provincia coll’altra. Attonito lo straniero verrAi?? a rimirare con invidia i prodigi di queste novelle tene promesse. Maggiore invidia nel vedere fatti piA? lieti i destini delle due Sicilie sotto gli auspici diFerdinando IAi??. , di cui possiam dire ciA? che Orazio cantava di Augusto
, ordinem
Rectum, et vaganti fraina licentiae
Injecit, amovitque cutpas ,
Et veteres revocavit artes.
Carni. Lib. 4, Ode i5. .
Le vere fonti , dalle quali la societAi?? trae gli elementi per soddisfare ai primi bisogni ed ai piaceri della vita sono , non v’ A? dubbio , l’ agricoltura la pastorizia le arti e il commercio. Su tali basi fonda la stessa amministrazione pubblica le indefesse sue cure. Non vi A? parte di legislazione cui affidale non sieDo la custodia e la protezione delle nostre sostanze , non altrimenti clie sotto l’egida di essa esistono inviolati i nostri dritti , assicurato il nostro onore , tutelata la nostra vita. Quell’armonica unitAi?? die si ammira nelle leggi fisiche dell’universo segnate dalla mano dell’Eterno, A? l’immagine di quell’istessa che ci offre il ben ordinato complesso di tutte le leggi del nostro Codice.
Il sistema del mondo fisico, 1′ ordine dell’umana sussistenza, il bisogno che imperioso ci spinge rendono necessaria l’attivitAi?? di lavoro, utile la personale industria nei vicendevoli rapporti. Ci A? prodiga la natura de’ suoi prodotti: ma d’ordinario grezzi , dispersi e qualche volta noncurati nella superficie della terra , sono suscettibili di esser raccolti , dall’arte affinati , meglio disposti e adatti all’uso di nostra vita. Alle produzioni ond’ essa terra A? feconda, spesso l’uman genio si ridesta, e l’amor proprio eccita il desAi??o della ricerca , dell’inclusile attivitAi??, del proprio guadagno, del legittimo acquisto, del pacifico possesso.
Quel principio di natura che ci fa solleciti a conservare in propria vita, ci rende operosi eziandAi??o ad investigare i mezzi onde provvedere alla sussistenza non solo propria che della prole da noi generata, a migliorare i nostri possedimenti, ad ingrandirli, ed aumentarne le rendite.
Savie leggi ci fan godere inviolata la proprietAi?? de’ nostri beni cosAi?? mobiliari che immobiliari; come ci danno del pari il dritto di coltivale e di raccogliere tranquillamente i fruiti del campo. A? in forza delle stesse leggi che possessori legittimi delle nostre cose godiamo della libertAi?? di disporne, e di vietare che altri venga ad esercitar dominio su di esse.
Originariamente libero il dritto di proprietAi??, libero e pieno il possesso, non puA? mai presumersi ad esso inerente un vincolo o un peso che il diminuiscale non comandato da una legge espressa, o dalle parti stabilito in forza di una convenzione.
Si dirAi?? che talune delle stabili proprietAi?? soffrono restrizioni, e diminuzioni? Ma A? la pubblica utilitAi??, il bisogno pubblico che riclama dal proprietario la cessione di parte del di costui terreno, o ne ottenga, oppur no il consenso ai??i?? Riputato necessario un passaggio: riconosciuta inevitabile una pubblica strada su una parte dello stesso, la formazione di un canale, di un acquidotto, la costruzione di un ponte, altro non gli A? dovuto che una giusta indennizzazione, la quale glie ne rinfranchi la perdita. Provvida la legge pesa in giusta lance equilibra e contempra tutto ciA? che interessar puA? la pubblica amministrazione con i riguardi dovuti a lui, ed alle proprietAi?? sue.
Si sosterrAi?? che ristretta A? la libertAi?? del proprietario, mentre si costringe a non piantare alberi di alto fusto sul confine del suo podere se non in una data distanza? Ma questa modifica alla di lui libertAi?? non vien dettata ancora che dal pubblico interesse, da quell’istesso dritto di natura che vieta difarsi agli altri ciA? che non si vuole per se. La privazione dell’aria e della luce che i grandi alberi producono al terreno del contiguo proprietario; la dilatazione ed ingombro delle radici colle quali usurpan da esso gli umori, son pregiudizi che l’uno non dee recarli, e altro non dee soffrirli.
illimitato A? il desAi??o di un proprietario nel far uso delle acque che costeggiano il suo fondo? Le veglianti leggi al riguardo, le analoghe, disposizioni giudiziarie ed amministrative ne raffrenan 1’abuso.
Preservare da rovinose inondazioni e da guasti le proprietAi?? confinanti: renderne immuni le pubbliche strade con dare alle acque un corso piA? regolare e meno incomodo: proccurare e ripartire a molli la irrigazione, per innaffiare i seminati o animare macchine idrauliche: provvedere al diseccamento de’ terreni paludosi, impedirne le usurpazioni: osservare le sagge prescrizioni sul governo de’ boschi, che tanto contribuiscono al bene dello Stato: mettere finalmente in armonia l’agricoltura e la pastorizia, rendendo fertili da una via i terreni , e migliorando dall’altra le razze degli animali domestici. Oggetti son questi della piA? grande importanza, su i quali veglian le nostre leggi mettendo in vicendevole rapporto il pubblico ed il privato interesse. Leggi benefiche, le quali mentre promuovono 1’abbondanza e la floridezza di questo fortunato Regno delle due Sicilie, spiegano la piA? alta protezione all’ agricoltura al commercio alle arti; ci garantiscono nell’ esercizio de’ propri’ dritti; quando non attentiamo ai dritti altrui; ci fanno esser tranquilli nel godimento delle nostre sostanze, e ci proccurano col minimo de’ sacrifizi la maggior possibile felicitAi??.
Ho voluto estrarre questa pagina dal libro “Le leggi protettrici dell’agricoltura” di Giacinto Armellini per dare un’ulteriore riprova al ruolo che i sovrani del Regno delle Due Sicilie delineavano ai propri sudditi laboriosi, essi erano protetti e coccolati dalle autoritAi?? che perA? esigevano il rispetto delle leggi agrarie che avevano scopi multipli, tra i quali il rispetto dei fondi confinanti, l’uso consapevole delle risorse idriche e il loro ingabbiamento, il consolidamento del terreno onde evitare fenomeni di scivolamento o degenerazione, e tutte le altre attivitAi?? che permettevano sia un aumento del reddito del contadino sia un beneficio all’intero regno.
Oggi purtroppo questo non avviene piA? anche se le leggi lo prevedono, sarAi?? forse per la corsa all’arricchimento, sarAi?? perla globalizzazione o anche per la mancata evidenza che l’agricoltura genera. Oggi la nostra terra urla e geme ogni volta che piove o che vi A? siccitAi??, oggi il contadino geme perchA? il suo lavoro non gli permette di avere una vita dignitosa, oggi.