Testo di Giuseppe Maria Fraddosio
Il cavallo corsiero napolitano (coursier napolitain in francese, neapolitan courser in inglese, corcel napolitano in spagnolo) fu considerato a ragione, tra i secoli XV e XVIII, uno dei migliori al mondo per le esigenze della cavalleria militare. Bello, forte e resistente, fu esportato in grande numero dalle province napolitane verso tutti gli altri stati italiani, nonchAi?? verso la Spagna, la Francia, lai??i??Olanda, lai??i??Inghilterra, la Danimarca, la Germania, la Prussia, la Polonia, la Russia e lai??i??Austria-Ungheria. Insieme con il cavallo spagnolo, con quello berbero e con quello turco, servAi?? per lai??i??insanguamento delle razze dellai??i??Europa centrale e di quella settentrionale, alle quali conferAi?? soprattutto le proprie ben equilibrate doti psicofisiche derivategli dalla costante selezione naturale cui era soggetto, opportunamente finalizzata dallai??i??uomo attraverso un sistema di allevamento risalente allai??i??antichitAi??.
GiAi?? i Romani dellai??i??etAi?? repubblicana e dellai??i??inizio di quella imperiale avevano dimostrato magistrale perizia ippotecnica coniugando in modo soddisfacente lai??i??esercizio atavico della transumanza con la pratica di avveduti incroci e meticciamenti. In virtA? di unai??i??accurata programmazione degli accoppiamenti, essi erano riusciti a produrre animali omogenei, quanto alla costituzione fisica ed al temperamento, in relazione alle necessitAi?? operative delle loro decuriae di cavalleria, composte in netta prevalenza da militi di stirpe siculo-italica tradizionalmente dediti al mercenariato.
Si puA?, pertanto, fare riferimento ad un cavallo romano antico – suscettibile di continua evoluzione morfologica ed attitudinale mediante scambi di sangue con le migliori produzioni ippiche delle regioni geografiche via via assoggettate al dominio di Roma – esemplarmente raffigurato nel monumento bronzeo allai??i??imperatore Marco Aurelio, in Campidoglio. Sua peculiare caratteristica fu il profilo convesso (montonino) del naso, oggi definito anche, in inglese, Roman nose. Tale cavallo, sopravvissuto alla caduta dellai??i??Impero romano di Occidente (476 dopo Cristo), ha trasmesso la piA? gran parte della propria ereditAi?? genetica alla razza romana (erroneamente definita, da alcuni, maremmana laziale), allevata per secoli nella Campagna di Roma, in Sabina e nella Tuscia romana.
Per tutto lai??i??alto Medioevo, gli invasori mongolici, germanici, vandali e saraceni, sovrapponendo i loro cavalli a quelli romani non fecero che protrarre nel tempo, inconsapevolmente e disordinatamente, quanto i discendenti dei Latini avevano, consciamente e razionalmente, saputo disporre per la selezione delle loro cavalcature da guerra.
Dopo lai??i??anno 1000, una massiccia immissione di sangue orientale fu operata in Europa dalle armate cristiane reduci dalle crociate in Palestina.
Di particolare importanza fu, tra il XII ed il XIII secolo, lai??i??introduzione di cavalli leggeri e veloci da utilizzare nella caccia con il falcone, di cui fu famoso cultore Federico II di Svevia. Alla sua passione per lai??i??allevamento equino fu dovuto il rifiorire, nel Sud della nostra penisola, di unai??i??ippicoltura basata su criteri simili a quelli che ne avevano permesso il grandioso sviluppo in epoca romana. Nel tardo Medioevo, ebbero spicco le ottime doti ed il buon mercato dei cavalli del Reame di Napoli, assai apprezzati anche negli stati vicini, sia al tempo degli Angioini, sia al tempo degli Aragonesi.
SpettA? tuttavia agli Spagnoli il merito di porre di nuovo sapientemente a frutto le straordinarie possibilitAi?? offerte dai maestosi cavalli dellai??i??Italia meridionale, passata sotto la loro dominazione agli albori del XVI secolo e governata, fino al 1707, da vicerAi?? nominati dai sovrani di Madrid. In quel lungo periodo di tempo, fu rinnovato lo scambio ippico tra le due penisole giAi?? avvenuto fra il III ed il II secolo avanti Cristo, allorquando le armate di Cartagine e delle Gallie avevano invaso lai??i??Italia con i loro cavalli numidico-iberici e celtici e, contemporaneamente, alcune legioni di Roma avevano trasferito cavalli italici nella Penisola iberica, dove poi sarebbero state fondate – e popolate da romani per quasi cinque secoli – varie cittAi??, tra le quali Italica, nei pressi dellai??i??odierna Siviglia, che avrebbe dato i natali agli imperatori Traiano ed Adriano.
Di fatto, tra il Millecinquecento ed il Milleseicento si ebbero, insieme, una parziale ispanizzazione del patrimonio ippico napolitano ed una parziale napolitanizzazione di quello spagnolo. Nacque a Napoli intorno al 1534 – grazie a maestri come Giovan Battista Ferraro e Federico Grisone – la prima accademia equestre dai??i??Europa, mentre nelle scuderie imperiali spagnole andavano aumentando il numero ed il prestigio dei corsieri napolitani. Lo stesso imperatore Carlo V dai??i??Asburgo, ai??i?? hauendo ottima conoscenza, e prattica di tutte le specie di caualli, e di tutte lai??i??arti Caualleresche, sempre elesse per seruigio di persona i caualli Napolitani, come idonei ad ogni essercitio, e fattione. (Pasquale Caracciolo, La gloria del cauallo, Venezia, 1589).
Nella Descrizione di Firenze nellai??i??anno 1598 da parte del principe germanico Ludwig Anhalt-Kothen – compilata in lingua italiana, nel 1859, dallo storico e filosofo di Aachen Alfred von Reumont – si legge il seguente brano sulla statua equestre in bronzo, eseguita tra il 1587 ed il 1594 dal Giambologna (il fiammingo Jean de Boulogne), che campeggia in Piazza della Signoria:
Sulla piazza maggiore sta la figura del granduca Cosimo (Cosimo I deai??i??Medici, che aveva sposato nel 1539 Leonor Alvarez de Toledo, figlia del celeberrimo don Pedro, vicerAi?? di Napoli, n. d. r.); esso monta un gran cavallo napoletano che posa sopra due piedi, in modo da non saziar mai lai??i??occhio per la bellezza dellai??i??artifizio.
Il termine corsiero (o corsiere) designava, tra la fine del Medio Evo e lai??i??inizio dellai??i??EtAi?? Moderna, il cavallo da combattimento, la cui andatura piA? veloce (il corso, cioA? il galoppo) lo differenziava dal portante, ossia dallai??i??ambiatore usato prevalentemente per lunghi e comodi trasferimenti in sella: era, insomma, il nome funzionale della razza.
Lai??i??aggettivo napolitano ne indicava lai??i??origine geografica, non limitata esclusivamente a Napoli e dintorni ma estesa, fino al 1860, allai??i??intero Regno di Napoli, comprendente parti delle odierne province di Rieti, di Frosinone e di Latina, nonchAi?? gli attuali Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria.
Corsiero napolitano (e non napoletano), dunque, in quanto cavallo storico allevato, principalmente per la guerra, in tutto il Regno di Napoli e da qui esportato, anche come miglioratore, verso il resto dellai??i??Italia e dellai??i??Europa.
La selezione di questo pregevole ausiliario dellai??i??uomo dai??i??armi avveniva nei suoi primi tre anni di vita ed era assolutamente naturale: il puledro veniva scelto in base a criteri estetico-funzionali per lai??i??impiego bellico tra i maschi interi che componevano le mandrie, in passato definite razze, di proprietAi?? delle famiglie nobili; quindi si procedeva al suo addestramento in apposite strutture, denominate cavallerizze.
Lai??i??arco di tempo in cui la razza assurse al massimo splendore ed alla piA? vasta notorietAi?? in Europa fu quello compreso tra il XVI secolo ed il XVIII. Non vi fu, allora, monarca o principe che non ambisse ad ospitare nelle proprie scuderie corsieri napolitani morelli, o bai, o grigi, per la guerra, per la caccia, per il tiro delle carrozze. Durante tutto il XVIII secolo e nel primo quarto del successivo, la monarchia asburgica ottenne numerosi cavalli napolitani, tra i quali sono rimasti famosi Cerbero e Scarramuie, ritratti dal pittore inglese George Hamilton intorno al 1725, nonchAi?? tre dei capostipiti degli odierni lipizzani: il morello Conversano, il baio Neapolitano ed il bianco Maestoso (questai??i??ultimo di origine napolitano-spagnola).
Oltre alla lipizzana, furono migliorate in etAi?? barocca, mediante lai??i??impiego di cavalli padri (stalloni) e di cavalle di corpo (fattrici) napolitani, le razze germaniche di Hannover, Holstein, Oldenburg, Trakehnen e WA?rttemberg, lai??i??olandese del Gelderland, la danese di Frederiksborg e la boema di Kladruby.
Alla razza lipizzana ai??i?? storicamente appartenuta allai??i??Austria-Ungheria, allai??i??Italia ed alla Iugoslavia ai??i?? spettA? lai??i??ereditAi?? piA? consistente di caratteri tipici dei cavalli napolitani, oggi presenti nelle famiglie maschili dei Conversano, Neapolitano e Maestoso, in quella, di origine danese, dei Pluto ed in quella, proveniente da Kladruby, dei Favory.
Nella Relazione delle persone, governo e Stati di Carlo V e di Filippo II, letta nel Senato della Repubblica di Venezia, nel 1557, dallai??i??ambasciatore Federico Badoero, i cavalli napolitani furono definiti non vaghi come li giannetti, ma piA? belli che li frisoni, forti e coraggiosiai??i??
Pasquale Caracciolo, nel suo trattato equestre intitolato La gloria del cauallo (1589), cosAi?? si espresse:
Ma se di tutti i caualli rarissimi sono quelli, che di tutte le conditioni necessarie adornati, e Ai?? tutti gli essercitij siano idonei; di tal lode i Napolitani soli veramente al piA? generale si trouan degni; perchAi?? al caminare, al passeggiare, al trottare, al galoppare, allai??i??armeggiare, al volteggiare, e al cacciare hanno eccellenza, e sono di buona taglia, di molta bellezza, di gran lena, di molta forza, di mirabile leggierezza, di pronto ingegno, e di alto animo; fermi di testa, e piaceuoli di bocca, con ubbidienza incredibile della briglia; e finalmente cosAi?? docili, e cosAi?? destri, che maneggiati da un buon Caualiere, si muouono Ai?? misura, e quasi ballanoai??i??
Nella Novela del coloquio de los perros (1613), il grande Miguel de Cervantes Saavedra richiamA? con singolare incisivitAi?? lai??i??attitudine dei cavalli Napolitani allai??i??apprendimento delle arie dellai??i??alta scuola equestre (Ensenome a hacer corvetas como caballo napolitanoai??i??) e la loro versatilitAi?? (ai??i??viendo mi amo cuan bien sabia imitar el corcel napolitano).
Nel trattato dal titolo La perfezione e i difetti del cavallo, opera del barone dai??i??Eisenberg, direttore e primo cavallerizzo dellai??i??accademia di Pisa, dedicata alla Sacra Cesarea Real MaestAi?? dellai??i??Augustissimo Potentissimo Invittissimo Imperatore Francesco I Duca di Lorena e di Bar ec. Gran Duca di Toscana ec. ec. ec. (Firenze, 1753), si legge tra lai??i??altro, nella descrizione della Testa Montanina (sic!), che ai??i?? i gran Signori per avere stalloni colla testa montanina fanno cercarne apposta nel Regno di Napoli, o in altre parti dai??i??Italia, per mettergli nelle loro razze, affinchAi?? comunichino tali qualitAi?? a i puledri.
Il Regno di Napoli fu visitato, nel 1789, dal nobile svizzero Carlo Ulisse de Salis Marschlins, uomo erudito, osservatore attento, resocontista scrupoloso. Egli dedicA? alcune righe del suo Nel Regno di Napoli. Viaggi attraverso varie province nel 1789 alla descrizione dei cavalli napolitani della razza di famiglia dei duchi di Martina, allevati nella grande masseria di San Basilio, presso Mottola.
I cavalli del Duca sono pregiatissimi, specialmente per la loro forza, la loro gagliardia e la singolare bontAi?? delle loro unghie; qualitAi?? queste da attribuirsi probabilmente alla natura forte e secca dei pascoli, ed al lasciare gli animali continuamente allai??i??aperto in ogni stagione, senza rinchiuderli nelle stalle.
I puledri tenuti per uso privato, vengono domati ai tre anni, ed i cavalli che non servono per uso del Duca sono venduti verso i quattro anni, o alla fiera di Gravina o a quella di Salerno, dove il prezzo corrente di una buona pariglia di cavalli di quattro anni, senza nessun difetto, varia dai 150 ai 200 ducati. Sino a poco tempo addietro, nessun cavallo veniva castrato, servendo gli stalloni sia pel tiro, sia per cavalcare, e lasciando le giumente esclusivamente per le razze. Adesso perA? si usa altrimenti, e la cavalleria sarAi?? fornita dai??i??ora in poi di giumente e di cavalli castrati.
Anticamente non cai??i??era barone del Regno che non avesse una o piA? razze di cavalli; ed i cavalli napolitani sono stati sempre e dappertutto tenuti in gran pregio per la loro resistenza e per le altre loro buone qualitAi??, cosAi?? come erano apprezzati negli antichi tempi.
La cavalleria del Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone godeva, nella seconda metAi?? del XVIII secolo, di buona fama. Nella sua Storia dai??i??Italia dal 1789 al 1814 (pubblicata nel 1824), il piemontese Carlo Botta, trattando della campagna militare del 1796 nellai??i??Italia del Nord – durante la quale furono impiegati, in aiuto alle truppe austriache del generale Beaulieu contro quelle francesi di Napoleone Bonaparte, i reggimenti di cavalleria napolitani Re, Regina, Principe e Napoli, soprannominati Diavoli bianchi – cosAi?? scrisse:
Fu forte lai??i??incontro, forte ancora la difesa, perchAi?? gli Austriaci sfolgoravano gli assalitori con le artiglierie, ed i cavalli Napolitani, opprimendo i soldati corridori, ed assaltando con impeto gli squadroni stabili, rendevano difficile la vittoria ai Francesi. Andavano glai??i??imperiali in rotta, ed abbandonato Fombio a chi poteva piA? di loro, si ritiravano a gran fretta a Codogno, con lasciar ai vincitori non poca parte delle bagaglie, trecento cavalli, circa cinquecento tra morti e prigionieri: sarebbe stata piA? grave la perdita, se la cavalleria Napolitana, condotta massimamente dal colonnello Federici, uffiziale di gran valore, serrandosi grossa ed intiera alla coda, ed urtando di quando in quando gagliardamente il nemico, non avesse ritardato lai??i??impeto suo, e fatto abilitAi?? ai disordinati Austriaci di ritirarsi.
Quindi aggiunse:
La schiera tutta sarebbe stata condotta allai??i??ultimo termine, se per la seconda volta la cavalleria Napolitana non le faceva scudo alla ritirata.
E, piA? avanti:
La cavalleria Tedesca, ma principalmente la Napolitana, che anche in questo fatto soccorse egregiamente i Tedeschi, proteggeva il ritirantesi esercito.
Nel primo quarto del XIX secolo, Giuseppe Ceva Grimaldi ai??i?? alto funzionario regio, inviato in Terra dai??i??Otranto da Ferdinando I delle Due Sicilie per ripristinarvi la legalitAi?? borbonica dopo il crollo del potere di Gioacchino Murat ai??i?? cosAi?? annotA?, nel suo Itinerario da Napoli a Lecce, descrivendo la cittAi?? di Martina:
Gli amatori deai??i?? bei cavalli vi troveranno la piA? bella razza che ve ne abbia nel regno, avanzo di quella tanto celebre di Conversano.
PiA? avanti, a proposito dello stato dellai??i??agricoltura in quella provincia, aggiunse:
Non vi sono razze di cavalli meno che una in Mattino (Matino, n. d. r.), in Martina lai??i??altra; la prima di piccioli e vivaci cavalli , la seconda di poche ma belle giumente nate dalla mescolanza delle razze di Conversano e Martina.
Dunque, le razze cavalline di Terra di Bari (in special modo, quella dei conti di Conversano) e di Terra dai??i??Otranto (in particolare, quella dei duchi di Martina) furono determinanti, sia per qualitAi?? sia per quantitAi??, nella formazione della razza napolitana. Dai??i??altronde, la continua richiesta di capi nati in quegli allevamenti stimolava le famiglie della nobiltAi?? regnicola ad una sana emulazione in unai??i??attivitAi?? dai??i??importanza primaria, e per il suo significato economico, e per quello culturale, giacchAi?? il grado di civiltAi?? di una nazione risultava anche dalla bontAi?? delle sue produzioni zootecniche e principalmente di quelle equine.
Le fiere annuali di Foggia, Gravina e Salerno servirono a lungo per diffondere nel resto dai??i??Italia e dai??i??Europa i numerosi puledri napolitani ivi trasferiti dalle province piA? vocate allai??i??allevamento, tenuti allo stato brado o semibrado per aumentarne la resistenza alle malattie, e resi avvezzi ai disagi della transumanza per esaltarne le doti di rusticitAi?? e di fondo.
Durante il loro lungo dominio sullai??i??Italia del Sud (dal 1734 al 1860, escluso il decennio napoleonico), i Borbone di Napoli mantennero loro proprie reali razze di cavalli a Carditello, in Terra di Lavoro, ed a Persano, in Principato Citra (entrambe dal 1750, circa, al 1860), a Ficuzza, in Sicilia, (dal 1799 al 1834) ed a Tressanti, in Capitanata, (dal 1815 al 1838 e dal 1850, circa, al 1860).
A? noto che i cavalli del Real sito di Persano transumavano a primavera sui vicini monti Alburni, dove potevano godere, sino allai??i??inizio dellai??i??autunno, di un clima piA? fresco e piA? salubre e di pascoli dai??i??alta quota abbondanti di essenze preziose per lai??i??armonico sviluppo dei carusi (puledri nati nellai??i??anno).
Nella grande Regione dei tratturi ai??i?? comprendente la fascia montuosa appenninica e quella costiera adriatica che dallai??i??Abruzzo scendevano, in direzione Sud-Est, fino a Metaponto ed al Salento, sotto la giurisdizione amministrativa e fiscale della Regia Dogana della mena delle pecore in Puglia ai??i?? migliaia di cavalli, asini e muli erano trasferiti, insieme con enormi armenti di pecore, capre e vacche, a Maggio sui rilievi abruzzesi, molisani e lucani, nonchAi?? sulle alture del Gargano e delle Murge, per rientrare a Settembre nelle masserie o nelle poste di pianura.
Con decreto n. 8153 del 29 Marzo 1843, Ferdinando II di Borbone ordinA? che fossero installate tre razze militari di cavalli per la rimonta della cavalleria dellai??i??esercito: la prima, in Puglia ed Abruzzo (a Foggia, con monticazione a Rocca di Mezzo), composta da 28 cavalli padri e da 560 giumente da corpo; la seconda e la terza, rispettivamente in Calabria (a Belcastro) ed in Sicilia (a Lentini), composte ciascuna da 15 cavalli padri e da 300 giumente da corpo.
Quanto alle provenienze dei soggetti da assegnare a tali razze, il Sovrano delle Due Sicilie decretA?:
3. Le giumente per le razze militari saranno scelte tra le migliori razze nostrali e razze romane. La loro altezza dovrAi?? essere non minore di palmi sei napolitani.
4. I cavalli che dovran servire da padri verranno scelti tra i migliori italiani ed i veri di Mecklemburg e polacchi, e saranno alti non meno di palmi sei napolitani.
(Da Collezione delle leggi e dei decreti reali del Regno delle Due Sicilie, anno 1843, semestre I, Napoli, dalla Stamperia Reale, 1843).
Unai??i??interessante descrizione della popolazione cavallina comune (common breed) nel Regno delle Due Sicilie fu fornita dallo statunitense Robert Sears in Scenes and sketches in continental Europe (New York, 1847).
The Neapolitan horse – annotA? quellai??i??autore – is small, but very compact and strong; his neck is short and bull-shaped, and his head rather large; he is, in short, the prototype of the horse of the ancient basso-rilievoes and other Roman sculptures found in the country.
Dopo il 1860, lai??i??allevamento del cavallo napolitano subAi?? il durissimo contraccolpo della violenta annessione delle province borboniche da parte della monarchia savoiarda e fu quindi destinato ad un rapido degrado per effetto di scelte di politica economica tanto piA? insensate in quanto via via piA? nocive alla reputazione del nostro paese in campo ippotecnico.
La realizzazione di un complesso e documentato programma zootecnico per il recupero genealogico e morfologico del Corsiero Napolitano (CN) A? stata avviata nel 2004 con lai??i??individuazione, in alcune popolazioni cavalline dellai??i??Italia meridionale continentale, di linee di sangue risalenti a capostipiti di origine autoctona, da incrociare con linee generazionali estere insanguate – soprattutto nei secoli XVII e XVIII – da riproduttori napolitani.
fonte: www.cavallodellemurge.it