vannu alla missacu setti suttani
preganuu Signuri
muncima ndanumiliuni
manda dinarimaritumioai???
Sestina rinvenuta negli atti di un convegno tenuto a Napoli da Antonio d’Aloi molto significativa diffusa tra Nicotera e Limbadi come cambiamento del folklore a seguito della grande guerra. Va innanzitutto precisata la difficoltAi?? incontrata durante il viaggio nei costumi popolari calabresi da me intrapreso per omaggiare la mia Terra: le Calabrie A? proprio cosAi?? che dopo attenti studi storici mi A? gradita chiamarla.
L’excursus parte senza ombra di dubbio dal materiale reperito in Calabria Citeriore o Citra come dir si voglia, l’abbigliamento calabrese A? stato fin dall’800 oggetto di studi attenti partendo dai cosidetti ai???pagusai??? le pacchiane ormai simboli di un ”abbigliamento ricoperto dall’oblio della memoria. Tuttavia nell’area dell”odierno cosentino si concentrano etnie diverse (Valdesi ed Albanesi ) circa 150 paesi che conservano riti e tramandano l”uso del costume popolare, abito variopinto indossato nei giorni di festa in particolare per le nozze come patrimonio inalienabile accomunato a religione tanto quando al linguaggio.
Sebbene, oggi quanto detto in calce A? possibile documentarlo nelle zone dove la tradizione A? piA? radicata, in quanto le donne piA? anziane conservano il costume come abito per il trapasso, mentre, ancora portano l’abito nero fino alla fine dei propri giorni in caso di vedovanza. La situazione muta per l’abito maschile l’impresa di ricerca A? risultata difficoltosa e di difficile collocazione pochissimi pezzi per comprendere come l”uomo calabrese vestiva.
Tra le numerose pubblicazioni risulta essere di elevato valore etnografico l’opera di Maurice Maeterlinck ai???Promonade en Sicilia et in Calabreai??? datato 1924 ma molto descrittivo a pag 33 una delle piA? significative pagine si legge: ai???la zona che si estende da Catanzaro a Nicastro A? la sola d’Italia dove sono conservati i costumi di altri tempi. Gli uomini A? vero e non portano piA? in cappello appuntito, la schioppetta ed il trombone del brigante calabrese ai???questo per quanto riguarda la Calabria Citra.
Tuttavia, la situazione mutava nella Provincia Ultra o Ulteriore qui il cappello invellutato a punta scompariva per lasciare il passo alla ai???barritta longaai???, a tal proposito Gerard Rolhf in ai???Dizionario dialettale delle tre Calabrie ci descrive ciA?: ai???… . al viaggiatore che 100 anni fa dove va recarsi dall’Italia centrale in Sicilia (…) lasciato il paese di Tiriolo ormai in vista dei due mari e gli era entrato in una Calabria assai diversa da primaai???. Si era passato come per magia dalla Calabria cappelluta a quella barrittuta, in Calabria Ultra si portava una tipica barritta di lana azzurra a forma di sacco lungo 50 cm.
Durante l”anno 1847 in piena etAi?? borbonica assistiamo a lunghi viaggi compiuti da personaggi europei attui a studiare usi e costumi delle regioni piA? estreme dell’ex bel Reame, possiamo collo care a questo punto gli studi di Edward Lear che nel suo studio intitolato Diario di un viaggio a piedi a pag 94 cita: ai???nella lunga fiumara di Allaro abbiamo osservato un gregge di (….) abbiamo incontrato uomini con veri cappelli a punta, (…)ai???.
Di grande efficacia sono le parole lasciate dall’etnografo nicoterese Raffaele Corso che da esperto etnografo annota con parole riprese dal contemporaneo Luigi Maria Lombardi Satriani in una famosa opera di elevato valore storico ai???Calabria 1908-1910ai???. La ricerca etnografica di Raffaele Corso riporta le attente parole del maestro Corso: ai???tradizionale cappello dei contadini e dei pastori di forma conica A? chiamato curvuni (…), oggi tali cappelli si fabbricano a Lagonegro impastando lana e pece (… ) Prezzo l.4ai???.
Tuttavia, a conti fatti dall’etAi?? del brigantaggio fu identificato come copricapo rivoluzionario tanto da proibire di indossarlo pena l”arresto immediato ennesima stoltezza del nuovo governo Italiano, chi vuol capire capisca. Senza ombra di dubbio e senza infuocare tale scritto di sapore duosiciliano nei miei numerosi studi ho appreso sia dalla elevata mole di documenti, che vogliono questo curioso cappello, copricapo dei carbonari durante il 1820, ed ancora il ai???cappello alla calabreseai??? nel 1848 a Milano come da copione lo Stato Italiano si guardA? bene da divulgare tali notizie.
Studiando con attenzione la storia di Nicotera dopo aver a grosse linee chiarito come il costume calabrese si sia evoluto nel corso del tempo ,pongo lo sguardo grazie anche agli autorevoli studi del Satriani sugli appassionati studi etnologici del Corso, catapultando il lettore nell’anno 1911 il ai???giovane avvocato di Nicoteraai??? viene invitato da Lamberto Loria ad occuparsi della mostra di etnografia italiana per il cinquantesimo anno dell”UnitAi?? d”Italia.
Su questo proposito vi sono anche atti di un convegno tenutosi a Nicotera nel 1995 intitolato ai???I Beni Culturali del Viboneseai??? dove l”ancor giovane relatrice ed appassionata Fiorella Sicilia scrive a PAG 133: ai???nel 1908 l’onorevole Ferdinando Martini, presidente del comitato per la celebrazione del cinquantenario dell’UnitAi??, conferi l’incarico di occuparsi della mostra (…) a Lamberto Loria ….. (…) si possono menzionare, volendo citarne alcuni il Roccavilla per il Piemonte il PitrA? per Palermo e non ultimo come lo definAi?? lo stesso Loria ai???il giovane avvocato di Nicoteraai??? appassionato di studi etnologici: Raffaele Corsoai???.
Il Corso condusse alla mostra esemplari di abiti calabresi di elevato valore. Appunto il 3 luglio del 1908 il Loria invia missiva al Corso dicendo tali parole: ai???Lei comprenderAi?? quanto sia indispensabile che la Calabria sia rappresentata beneai???, ed A? proprio in codesto contesto che si spiega un carteggio tra i due etnografi situazione confutata anche dal Satriani.
Il Corso inviA? alle porte di Roma svariati costumi e ori che dopo il 1911 non furono mai piA? esposti abiti stupendi di pregevole fattura e ben dettagliati tra i quali spiccavano: le pacchiane di Cerva, dei montanari di Oppido, Piminoro, Cittanova, Tresilico, Tiriolo, Gimigliano, Caroniti, delle chiazzarole di Drapia e Tropea e delle Cuccurinote.
Esempi di costumi particolari ma che descrivono la vita delle donne calabresi, in ispecie il Corso descrive con attenzione il costume popolare delle donne di Capo Vaticano: la Drapiota
(la donna di Drapia) indossava molti capi tra cui vi erano la Sajia (l’abito) i jppuni (camicia) faddali (protezione per l’abito) vitta (corpetto) spatinu (per raccogliere i capelli) pindajijhi (oggettivari) gioesgiu (gioiello) …. le drapiote usavano molte sottane per alzare i fianchi.
La casalina Cuccurinota (casalinga di Coccorino) era composto da Sajia, sinali, Ijppuni, cammisa (camicia), maccaturu (fazzoletto); la camicia delle donne era il lino materiale duro adatto ai lavori. Abito da Chiazzarola di Tropea A? quello piA? sontuoso A? la donna che appare inpiazza o a messa, composto da Gonnejia (gonnella), Ippuni a fantasia floreale ricamato (faddali).
Maccaturi che copriva le spalle ed infine la Vitta, un lungo nastro e lunghi orecchini in oro o perle
La situazione muta per Nicotera, cittadina ultramillenaria della fascia Tirrenica Vibonese. Una civiltAi?? tradizionale, questa che Diego Corso, medico, etnografo e studioso di storia locale, padre di Raffaele, aveva incominciato a conoscere nel suo andirivieni per le campagne nicoteresi e di Caroniti, fin dalla seconda metAi?? del XIX secolo scrive Vincenzo Brancia in ai???Nicoteraai???, ai???Il Regno delle due Sicilieai??? VOL II a pag 19 continua una stupenda descrizione: ai???I gentiluomini e le gentildonne vestono decentemente, nA? mancano abili sarti.
Gli artigiani vestono civilmente cosAi?? anche le donne portano una gonna color indaco, in testa hanno la rizzuola ricamata in cotone nella quale avvolgono i capelli alla foggia di una corona (…) sono per lo piA? ben calzate ed inoltre portano ornamentiai???.
La descrizione del Brancia prosegue con interesse ne medesimo testo annota ciA?: ai???Gli agricoltori agiati indossano il giubbone di lana la camicia bianca ed i calzoni corti con calze e grossi scarponi di vitello. Mentre gli agricoltori non agiati vestono allo stesso modo ma con giubbone e calzoni di tela paesana e berretto di quelli fabbricati nel nostro Regno a Baronissi prov di Salerno e rigorosamente scalziai???.
La personalitAi?? che ne esce fuori dagli studi del Corso poi ripreso dal Satriani A? una personalitAi?? che sapeva affrontare problematiche etnografiche tanto quanto folkloristiche con grande competenza.
Continua ancora l”attenta descrizione del Brancia il quale annota questo: ai???I marinai nicoteresi vestono galantemente specie nei dAi?? di festa (…) usano il giubbone di pistagna, usano un fazzoletto al collo ed una camicia, mentre il calzone lungo A? a strisce con un berretto. In inverno il basso popolo porta abiti ordinari portando il malandrino un cappotto di bassa fattura (…) le donne vestono tutte ad un modo portando la sajia. Le donne di buon ajiena portano l’abito unito, mentre quelle del popolino portano il corpetto allacciato sul davantiai???.
Non possiamo disdegnare di affrescare l”abito delle feste a Nicotera anche qui si pone lo scritto del Brancia che con interesse dice: ai???L”abito della festa delle donne agiate erauna sajia di seta color celeste o arancio, tovaglia di lino orecchini oro, calzette e scarponcini e l’orlo della camicia ornato di merlettiai???.
Durante questo viaggio spettacolare nel folklore Nicoterese con grande meraviglia mi sono imbattuta nelle parole di Antonio D”Aloi altro grande Nicoterese che negli atti di un Convegno con la dicitura: ai???Folklore della gente di mare di Nicoteraai??? a pag 204 213 si vede scritto: ai???Al principio del secolo ciA? che sa di antico va scomparendo. dopo la prima guerra mondiale si seguono i costumi alla moda. Il lusso A? la caratteristica delle superstiti famiglie marinare, i cui mariti dall’America inviano grosse sommeai???.
A conclusione di tanto a me gradito lavoro mi auspico un futuro rientro in Patria dei pezzi che il prof e grande accademico Corso inviA? alla mostra del Loria, quei pezzi giaciono nei fondi di magazzino del museo etnografico di Roma, mentre Nicotera ad oggi potrebbe ostentare un passato gloriosissimo .


