di Mario Bellotti
(Articolo ironico sui poco colti e provinciali pregiudizi dell’Intellighenzia del Bel Paese)
Chi credeva che il razzismo antinapoletano, antisiciliano e antimeridionale in genere si limitasse all’accusa del “modo lagnoso” con cui i Sudici raccontano di essere stati trattati nella mitologica unificazione italiana di metà Ottocento e di come in 163 anni non si sia mai davvero invertita la tendenza che vede il Sud trattato peggio del Centronord nella distribuzione delle risorse interne e che in definitiva non si sia mai davvero voluto risolvere la “Quistione” nata appunto nel 1860… si sbaglia!
Il celebre Barbero aveva già recentemente portato indietro le lancette del razzismo al Seicento, secolo in cui tutta Europa rimase meravigliata dal modo in cui Masaniello e la popolazione napoletana si ribellarono alla tassazione esosa del declinante impero spagnolo: dice infatti l’onnipresente storico televisivo che quella società era già profondamente camorrista, condannando così senza appello quelle vicende di epoca preborbonica.
Ma ora siamo ad una nuova frontiera di disprezzo razzistico: in un articolo su Il Foglio del 18/9/2023, Giovanni Ventimiglia punta infatti il dito su Guglielmo da Tocco, biografo del connazionale san Tommaso d’Aquino, il quale imbroglia tutti “come solo un napoletano” sa fare, ricostruendo in modo a suo dire fantasioso (anzi “impupando, come si suole dire nell’ex Regno di Sicilia”) passaggi della vita e del pensiero del massimo teologo cattolico di tutti i tempi.
L’articolo trae origine dal triennio 2023-25 di celebrazioni che la Chiesa riserva all’Aquinate, comunemente chiamato Dottore Angelico, il quale costruisce una vera e propria “cattedrale di cristallo” del pensiero attingendo ai filosofi pagani, che ha modo di conoscere studiando nell’Università imperiale di Napoli, ma dando il massimo valore veritativo alle Sacre Scritture, seguite dalla Patristica del primo millennio dopo Cristo.
La produzione di Tommaso è talmente al di sopra di ogni altra di qualsiasi epoca, che non pare abbia torto chi afferma che nella storia della filosofia esista un prima e un dopo l’apice raggiunto dal grande domenicano, il quale è allo stesso tempo anche il massimo filosofo napoletano assieme a Giambattista Vico. Entrambi influenzarono profondamente la civiltà popolare napoletana nelle loro rispettive epoche e sono ambedue da annoverare tra i massimi filosofi mondiali di tutti i tempi.
Ma il Ventimiglia condannerebbe con forza queste affermazioni (condivise però da molti studiosi), magari bollandole chissà di sciovinismo terrone dall’alto della sua nazionalità svizzero-italiana (lombarda). Eh sì perché, limitandosi al Dottore medievale, ciò che davvero conta secondo l’implacabile censore è che egli ha “rinnegato” tutto il suo pensiero alla fine della sua vita, guarda caso trovandosi di ritorno a Napoli dopo i suoi tanti giri in Europa e “comprendendo” di aver mal interpretato le parole di un maestro ebreo.
Insomma la famosa frase “Tutto quello che ho scritto mi sembra paglia” che san Tommaso pronunciò dopo un’esperienza mistica evidentemente straordinaria vissuta nella chiesa di San Domenico maggiore, in cui comprese che le sue parole benché veritiere (e apprezzate da Gesù Cristo durante un’apparizione) non fossero però in grado di rendere pienamente l’Assoluto, diventa il suggello di un completo fallimento filosofico. Fallimento “impupato” però dal suo furbo biologo napoletano, che frega così per i sette secoli seguenti i suoi innumerevoli studiosi in ogni parte del mondo.
Questi napoletani sono proprio la maledizione dell’umanità! O no?