Il Plebiscito del 21 ottobre 1860 in una cronaca borbonica
Di Lorenzo Terzi
Napoli 15 novembre 2022
Il 21 ottobre del 1860 si tenne il plebiscito che avrebbe sancito l’annessione alla corona sabauda delle “province meridionali”, ossia dell’ex Regno delle Due Sicilie.
Numerosi commentatori dell’epoca, di ogni schieramento politico, manifestarono dubbi e perplessità sulle modalità dello svolgimento della consultazione elettorale e sulla fondatezza dei risultati ottenuti.
I cronisti filoborbonici, comprensibilmente, ebbero buon gioco nel denunciare brogli e irregolarità, nonché a condannare la repressione che le nuove autorità attuarono contro quei centri dell’Italia del Sud in cui le votazioni non poterono svolgersi a causa dell’opposizione violenta, perfino armata, degli abitanti.
Un resoconto legittimista di quella fatidica giornata di 162 anni fa si trova in: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, Carte del re Francesco II da Gaeta all’esilio, Cronache e manoscritti, busta 1701, “Cronaca del reame delle Due Sicilie dal 25 giugno 1860. Mese di Ottobre 1860”, carte 34 verso – 36 verso (pp. 344-348 della numerazione originaria).
Plebiscito sollenne impostura.
3. Votazione per lettera o inserzione de’ giornali. Ruggiero Settimo.
4. Quadro delle cifre della votazione: flagranti inesattezze.
Prestigio della presenza e discorso di Garibaldi.
5. Gravi disordini in Napoli e nelle province.
Bando proconsolare del Governatore di Foggia |
In conformità de’ preordinati concerti, oggi si esegue la votazione del plebiscito in tutti i comuni dello antico reame delle due Sicilie. Nella Capitale si vota in appositi locali da ognuna delle dodici sezioni, vigilandovi Commissioni, o sieno Giunte d’individui della più dichiarata ostilità alla Dinastia Borbonica(a). la sezione S. Ferdinando destina all’uopo il porticato del tempio di S. Francesco di Paola, a fronte dell’antica Reggia. Su l’ingresso evvi cartello a lettere cubitali: “Comizii del popolo”. Su la porta maggiore del tempio leggesi altro cartello così concepito: “Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele re costituzionale, e suoi legittimi discendenti”. Nella turbolenta sezione Montecalvario avviene, che un uomo di modesto esteriore, benché formidabili fossero gli apparati per costringere tutti al SÌ, ha il coraggio civile di accostarsi al Banco, prendere francamente un NO, e pria di farlo cadere nell’urna, gridare: “Per me no, e sempre no”. La circostante turba inferocita si precipita su di lui per sagrificarlo: interpostosi per salvarlo l’ufiziale della guardia nazionale Luigi Farina, è ferito alla coscia. Ecco smascherata la impostura del vantato suffragio universale? (*) Si permette nel rincontro alla nota popolana schiamazzatrice Marianna de Crescenzo, agnominata La Sangiovannara, di votare, ed essa vi si presta con comica farsa, tenuta a braccio da Silvio Spaventa; aiutando l’ottagenario maggiore de Petris venuto ivi in portantina per votare. Il giornalismo officioso, ed officiale di Napoli indica come storici episodî di gran momento, che un cieco si fosse avvicinato all’urna de’ suffragî chiedendo un Sì; che in tal senso avesse anche votato il rimbambito nonagenario Raffaele Jovino della Sezione Mercato; e un Carmine Maestri per non poter camminare vi fosse andato in carrozza, pregando l’Eletto municipale a discendere fino a lui per raccogliere il Sì; esprimendosi poi con livore contro l’Autorità ecclesiastica, che non ha voluto corrispondere al desiderio del Municipio di suonare le campane a stormo nel tempo della votazione, dicendo, che il clero lo avrebbe festosamente fatto, se avesse dovuto suonare pel ritorno de’ Borboni. Invece si fanno sentire colpi di cannone. Da Malta in data d’oggi, con lettera diretta al Pretore di Palermo, l’emigrante Siciliano Ruggiero Settimo scrive la seguente lettera: “In questo giorno sollenne, in cui la Sicilia è chiamata a compiere la costituzione dell’Italia, mi duole non potere anche io personalmente deporre nella urna il voto per l’annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele, e suoi discendenti. Ma non saprei né anche astenermi dallo esprimere il mio assentimento a questo stupendo fatto, che formando l’Italia forte, indipendente e libera, assicura nel tempo stesso la libertà e la prosperità dell’isola nostra. Ora che i tempi son maturi, perché la famiglia italiana riunifica in uno i suoi membri, e tutte le sue forze consumate sovente in lotte fratricide, sarebbe strano il persistere in aspirazioni, ed idee convenienti ad altre circostanze, ed a tempi andati. Nelle molte vicissitudini della mia lunga vita ho la coscienza di aver voluto agire senza alcun personale riguardo, e soltanto pel bene della patria. Con la stessa coscienza presento a Lei questo mio voto, che spero sia conforme a quello di cotesti miei concittadini, e di tutta la Sicilia”. Parimenti il canonico Francesco Onorato, di Silvestro, dell’isola d’Ischia, rettifica la notizia data dal giornale l’Indipendente, cioè che nel suo paese, e nel contiguo di Procida, il clero abbia votato pel no, ed i naturali siensi nascosti nelle montagne; e sostiene, che egli ed altri abbiano votato pel sì. E D. Matteo dell’Omo parroco del comune di S. Antimo, rifugiatosi in Napoli col nipote sacerdote D. Antonio, temendo, che non avessero a ritenerlo come negativo alla votazione d’oggi nel suo paese, fa inserire la sua adesione nel giornale officiale de’ 25 corrente, numero 42, pag. 176. Il risultamento dell’odierno plebiscito in Palermo è stato il seguente: Elettori inscritti n.° 40508. Votanti 36267. Voti pel sì 36232. Pel no 20. Voti nulli 15. Per Napoli variano le notizie: alcuni dicono, che i voti affermativi nel totale sieno 1.734.118; altri sostengono, che sieno stati 1.310.366 pel sì, e 10.012 pel no(a). Taluni giornali pubblicano il quadro delle votazioni, finora note, come segue:
(B. 31 8bre n.° 78)
Venuto di proposito dal campo, oggi Garibaldi passeggia per Toledo in carrozza scoverta per raccogliere plausi, e si reca a pranzo nell’Albergo d’Inghilterra, sotto i cui balconi la solita ciurmaglia comincia a schiamazzare gli evviva. Egli si mette al balcone, e pronunzia le seguenti parole: “Voi napoletani avete forse troppo entusiasmo; ma con questo entusiasmo noi faremo l’Italia!… Che bisogno vi è di parole quando la opinione generale vuole l’unità d’Italia e travaglia a questo scopo? Per me siatene sicuri, io resterò costantemente fedele a’ miei principî, e non sarò veramente felice, se non quel giorno, in cui potrò dire: «L’Italia è una ed indivisibile». Viva l’Italia!”. Un fragoroso urlo della folla ripete l’ultima parola. A causa della votazione gravi disordini accadono nelle province, e soprattutto a Carbonara, a S. Angelo de’ Lombardi, ed in altri comuni della provincia di Avellino, a Cinquefrondi in Reggio; mentre in varî paesi delle province di Terra di Lavoro, di Molise, e d’Abruzzo bande contadinesche si mostrano in armi, protestando col fatto nello interesse della Sovranità legittima. Nella Capitanata poi questo giorno del plebiscito è stato il segnale d’una insurrezione generale, tanto che in varî paesi non si sono raccolti i comizii. Il governatore Del Giudice si dichiara impossibilitato a resistere al movimento reazionario unanime, ed imponente, il più grave de’ quali è stato in S. Giovanni Rotondo sul Gargano; a segno tale che accorsovi esso Governatore con 50 guardie mobilizzate, e 260 del battaglione Veneto di transito comandato dal colonnello Romano, ha dovuto fuggire, essendo stati tutti costoro, parte uccisi, parte fatti prigionieri, e pochi salvatisi con la fuga. Nota col suo rapporto di aver osservato, che i reazionarj fortificati, e barricati con tutta strategica militare, han combattuto con disciplina, ed hanno pure avuto soccorso d’una colonna di circa mille uomini dallo altro comune di S. Marco in Lamis(a): indica altri paesi del Gargano, che hanno già imitato tale esempio di opposizione reazionaria. Il ministro Conforti in risposta lo investe de’ pieni poteri i più arbitrarj. Gli è perciò che lo stesso Governatore emana il seguente bando: “I soldati sbandati, o congedati alla entrata del Dittatore Garibaldi nelle due Sicilie dovranno presentarsi pel 3 novembre, sia in questa residenza, sia in Lucera presso il procuratore generale. Dopo quel giorno saranno ritenuti come disertori, e puniti a’ termini dello Statuto penale militare. Gli autori di fatti, e detti tendenti a spargere il malcontento, saranno giudicati con forme sommarie dalla Gran Corte criminale della provincia elevata a Corte Speciale, e condannati al maximum della pena del 1.° grado de’ ferri(b) ossia ad anni 12. I giudici, i sindaci, i comandanti nazionali in que’ comuni dove avvengono moti reazionarj, saranno ritenuti come complici e fautori, se non avranno prevenuta l’autorità giudiziaria, o amministrativa della provincia degl’indizî, o sospetti di reazione. Tutti coloro, che saranno condannati pe’ precedenti articoli, dovranno pagare i danni-interessi alle famiglie delle vittime, da liquidarsi con la stessa decisione di condanna”. La stessa Gazzetta di Genova, certamente non sospetta di ostilità al regime piemontese, riferisce in questo modo derisorio il plebiscito: “Il popolo napoletano, dopo 44 giorni di governo dittatoriale, stanco di vivere così libero, corse a’ comizii: tra que’ che votarono pel no, ve ne fu uno che dicendo no, ricevé un colpo di coltello fra costa e costa”. Questo è chiaro di per sé (osservano imparziali cronisti) essendovi quivi tre urne: l’una co’ riprovati biglietti del no; l’altra co’ comandati del sì; la terza vuota, in cui doveansi deporre i suffragî. A vigilare i votanti è aggruppata armata la consorteria degl’italianissimi, che hanno già venduta la patria allo straniero subalpino. È facile dunque capire se dovesse a molti bastare l’animo di stendere la mano, e votare pel no. Invece si ha argomento a credere, che lo zelo e l’amore per la propria vita spinga più d’uno a gettare nell’urna di mezzo una buona manata di sì, come è avvenuto. Di fatti, gli stessi giornali del sì, vergognandosi di essersi trovate migliaja di sì, oltre il numero degl’inscritti votanti, si han dovuto lambiccare il cervello per riparare allo evidente sconcio. Ecco il libero suffragio universale, che dee legittimare il fatto compiuto, e coronare l’opera del non intervento. |
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(a) Vedi di sopra pagina 314 di questa Cronaca.
(*) Si vegga l’importante opuscolo del Malvica “Del suffragio popolare sotto le armi, e del suffragio colle armi”.
(a) Il numero de’ voti è immaginario, e segnato a capriccio da’ soggetti preposti alla votazione. I no sono stati anche simulati per dar l’aria d’esservi stati liberi oppositori. In taluni Comuni i Sindaci hanno formato processi verbali per unanime affermazioni, mentre non vi è stata né pur ombra di votazione.
Altrove pochi fanatici, tra le risa, e lo scherno di quella scena menzognera, hanno a piene mani versati i SÌ nell’urna.
(a) Ecco il motivo della rabbia rivoluzionaria contro questa bella e popolosa borgata distrutta poi da’ piemontesi col ferro, e col fuoco.
(b) Nel codice penale borbonico l’identico reato nell’art.° 142 è punito da 7 mesi a 2 anni di prigionia. Ed il liberale Governatore del Giudice lo vuole giudicato sul tamburo, e punito con 12 anni di ferri!!!