Il volume di Renata De Lorenzo, Borbonia felix. Il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo (Salerno), A? un saggio che offre un affresco vivace della Ai??Nazione napoletanaAi?? fra il 1848 e il 1860. Peccato che tanta dottrina sia stata messa al servizio di una tesi che vuole espellere dall’aiuola della storiografia mainstream una versione alternativa di questi eventi. Per l’autrice, chi ha osato mettere in discussione la sacra vulgata risorgimentale va annoverato tra i profani della Storia. Ma gli studiosi che hanno promosso una revisione della vicenda del processo unitario sono Ai??professori di storiaAi?? e non dilettanti, o neo-borbonici. Basti ricordare Paolo Macry, Roberto Martucci, Paolo Malanima, Salvatore Lupo. Nessuno di loro, certo, ha tessuto le lodi del buon governo di Ferdinando II o ha preteso di fare di Napoli una cittAi?? come Londra e Parigi. Gli storici revisionisti non hanno alimentato il mito della Borbonia felix ma hanno ricordato che nessun’altra parte d’Italia meritA?, nella seconda metAi?? dell’800, quell’appellativo. Non fu felix neppure l’area del futuro triangolo industriale (Piemonte, Lombardia, Liguria), il cui prodotto interno era pari a quello di Napoli e del suo hinterland. Furono infelici, per povertAi?? e arretratezza, Calabria, Lucania, Abruzzi, cosAi?? come lo furono perA? il Veneto e le aree appenniniche del Centro-nord. Inoltre, se i bilanci degli altri Stati italiani segnavano il profondo rosso, i titoli sovrani delle Due Sicilie erano ritenuti un investimento sicuro sulle piazze europee.
I titoli napoletani prima del 1861 pagavano il tasso piA? basso (4,3%): 140 punti base in meno delle emissioni piemontesi che rappresentavano il 44% del debito unitario. Forzando un paragone, si potrebbe dire che il Regno di Napoli economicamente era per l’Italia quello che oggi la Germania A? per l’Eurozona. Dopo il 1861, perA?, lo scetticismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un premio di rischio comune a tutti i debiti degli Stati preunitari. Lo spread iniziA? ad aggredire anche i titoli napoletani, aggregati a quelli del Regno d’Italia (i cosiddetti Italy-Neapolitan bonds), elevandosi a 260 punti base in piA? che nel 1860, poi arrivati a 460 nel 1870. In un decennio la crisi del credito sovrano dello Stato unitario depauperA? il risparmio privato del Mezzogiorno e contribuAi?? a creare quel divario Nord-Sud che costituisce, oggi, uno dei mali piA? gravi dell’Italia infelix.
2 Comments
Che peccato quell’affannarsi a dichiararsi NON borbonici,quasi che l’esserlo sia una vergogna o comunque un demerito .
Ora se ci sono,ed è giusto che ci siano,pensatori più o meno liberi,casomai con cravatta alla Lavalliere ,che sostengono contro ogni evidenza la tesi del “”risorgimento e annessione/conquista come cosa buona e giusta “”, da parte di chi dice di voler sostenere i veri e sacrosanti diritti dei popoli del Sud. all’epoca e ancora oggi ,conculcati con danni irreparabili,ci vorrebbe una risposta in cui si dovrebbe leggere certamente la reale situazione economica determinatasi al momento,ma dovrebbe essere anche messo in evidenza un sicuro e certo punto di riferimento e questo è sicuramente Casa Borbone ,l’antica Casa Regnante che garantì al Sud autonomia e indipendenza .
Invito tutti a leggere lo studio ad opera del prof.Stefano Fenoaltea docente di economia applicata all’Unuversità Tor Vergata di Roma e del collega Carlo Ciccarelli Dottore di Ricerca in Teoria economica ed istituzioni nella stessa università , pubblicato dalla Banca d’Italia il 4 luglio 2010 nei quaderni di storia economica di BankItalia ……chissà perchè ….solo in lingua inglese , ma per fortuna i numeri non hanno bisogno di essere tradotti.
Da questo studio , con la forza inoppugnabile dei numeri , incrociando i dati dei censimenti dal 1871 al 1911 risulta in modo chiaro ed incontrovertibile che l’arretratezza industriale del sud non sia eredità dell’Italia pre-unitaria ma bensì un sottosviluppo voluto da una unificazione nazionale strumentalizzata in modo scellerato ai danni del mezzogiorno.Risulta infatti che nei periodi esaminati l’indice di industrializzazione di molte aree del sud era pari se non , in alcuni casi, addirittura superiore a zone omogenee del nord.Chi lo avrebbe mai detto ? diffondete gente ..diffondete…..