Agli amici dei Comitati delle Due Sicilie per il loro congresso nazionale.
Vi sono grato per lai??i??invito a prendere parte al congresso nazionale dei Comitati delle Due Sicilie del 27 e 28 ottobre, pur non avendone titolo, dal momento che non faccio formalmente parte di questa vostra importante associazione quale iscritto ad essa.
Vi prendo parte quindi come ospite, piA? che osservatore, ma anche, in certa misura, come uno di voi. Lai??i??invito rivolto a persone per cosAi?? dire esterne, ma che nello stesso tempo non vengono considerate estranee rispetto ad un importante momento associativo come il vostro, ha alla sua base, ritengo, il sentimento della sussistenza tra di noi di un legame che va al di lAi?? dellai??i??appartenenza al singolo gruppo attraverso il quale ognuno di noi esprime la sua meridionalitAi?? ed il suo impegno perchAi?? il Meridione si riscatti dalla condizione di colonia interna in cui A? stato cacciato.
Credo che questa sia una posizione non solo feconda, ma forse lai??i??unica veramente dotata della possibilitAi?? di divenire feconda. Eai??i?? la direzione, comunque, su cui da molti anni ormai si muovono sia il gruppo ancora persistente del Movimento Meridionale nel suo processo di riorganizzazione, sia il lavoro di Quaderni del Sud. Quaderni Calabresi, come A? agevole rilevare dai piA? recenti numeri della rivista a chi abbia la pazienza di farne una non distratta lettura.
Vi A? che incomincia a farsi sentire nel Meridione, in tutti i suoi strati popolari ai??i?? giovani, disoccupati, emigrati stagionali e no; donne, intellettuali, laureati e diplomati senza futuro, produttori precari del commercio, dellai??i??artigianato e della manifatture, piccoli e medi produttori agricoli, tutti  in lotta  per mantenere  un radicamento sempre piA? difficile, giornalieri e braccianti, una insofferenza sempre piA? diffusa nei confronti della condizione in cui nello Stato costruito il 1860 sono stati cacciati il Meridione e le sue classi popolari, con il beneplacito e sotto lai??i??occhiuto controllo dei ceti politici e burocratici interni ad essi preposti, da considerare (a parte le eccezioni di carattere strettamente personale) piA? che come ceti estranei, come ceti nemici, eredi a pieno titolo delle classi feudali.
In questa condizione si puA? dire ormai acquisita, e largamente diffusa a livello popolare, la coscienza che nel 1860 su questo nostro territorio si consumA? unai??i??operazione di conquista coloniale; e che fu questa la base su cui si eresse il nuovo Stato e si procedette alla costruzione dellai??i??impalcatura del nuovo regime politico da esso instaurato, poi integralmente sopravvissuto allai??i??unico ampio tentativo di democratizzazione che fu  tentato, dalle classi popolari, negli anni del secondo dopoguerra, ormai da tempo liquidato e dimenticato. E, insieme a tale coscienza, vanno crescendo lai??i??insofferenza verso il disordine che ne A? seguito e la richiesta di un nuovo ordine di carattere ampiamente democratico. Di esso, tuttavia, non si intravvedono le linee, nAi?? le vie attraverso cui esso puA? avere principio ed attuazione, salvo la coscienza che esso  puA?  venire solo dallai??i??interno.
In breve: alle spalle e davanti ai vari movimenti, prima e dopo di essi, vi A? questo piA? ampio e generale movimento di carattere sociale e popolare, al quale i movimenti debbono necessariamente rapportarsi, onde trovare in esso la loro fonte, il loro senso, il loro fine. Se non si acquisiscono questa consapevolezza e questo sentimento, vi A? il rischio concreto che essi vivano la loro meridionalitAi?? in condizione di aperta o latente  concorrenzialitAi?? reciproca, anche quando attenuata o coperta da accordi ed alleanze di convenienza, impegnando ognuno le proprie esigue forze nella rivendicazione di inutili primogeniture o  di inutili status di unici figli legittimi.  La via per ognuno di noi, dunque, A? quella di uscire dal ripiegamento su noi stessi e di volgerci a trovare un collegamento operativo con il piA? ampio movimento di carattere sociale e politico a cui ho fatto riferimento prima, poichAi?? esso A? la pianta e noi siamo  soltanto dei  tralci, a cui tocca di imparare lai??i??arte di essere tralci produttivi .
La nostra attenzione  sarAi?? allora volta, non tanto allai??i??incremento del singolo nostro gruppo quanto a decifrare dallai??i??interno lai??i??inquietudine e lai??i??insofferenza dei ceti  popolari meridionali, la loro disgregazione e insieme la loro richiesta profonda di nuove forme di aggregazione; e insieme a questa decifrazione, nellai??i??individuare le strade che portino alla costruzione di un nuovo ordine e, momento decisivo, nel dare ad esse inizio. Il nostro lavoro, in altri termini, deve giAi?? porsi non solo come una predicazione della veritAi?? e come  una denuncia  del mortale torto subito, ma  come inizio concreto di un processo  di liberazione e di costruzione – i due termini camminano affiancati -, sAi?? che esso possa dirsi, allai??i??interno del nostro popolo, giAi?? in atto -.
In questa prospettiva la necessitAi?? per ognuno di noi di curare e di mettere a punto al meglio la propria organizzazione, come indispensabile struttura di servizio, non puA? che trovarci affiancati tutti insieme.
Venendo ad esaminare da questo punto di vista la prospettazione, piA? o meno esplicita, di alcune delle strade che si affacciano alla mente di un popolo che voglia uscire da una soggezione  ormai secolare; e che voglia riconquistare  se stesso e la sovranitAi?? del suo agire (il che poi, in definitiva,, vuol dire la propria libertAi?? e la propria responsabilitAi?? verso tutti gli altri popoli) non A? difficile dire, per prima cosa, che non A? pensabile  e nessuno pensa alla via militare. Essa A? stata battuta vigorosamente, con profondo senso politico, dallai??i??esercito popolare dei nostri ai???brigantiai???, in condizioni molto difficili, ma certamente in condizioni assai piA? favorevoli, che rendevano quella guerra   strategicamente e politicamente assai piA? realistica.
Non A? pensabile dunque una via  militare alla liberazione. Ma qui A? necessario per noi aggiungere qualche altra cosa, affermando il principio fondamentale del ripudio della guerra e della violenza nella soluzione dei conflitti umani. Non si tratta  di un ripudio moralistico e aggiuntivo, di un accessorio o di un abbellimento, da mettere da parte quando che sia necessario. Esso attiene alla qualitAi?? della nostra azione ai??i?? e da ora in poi scrivo azione e non sola predicazione – che non puA? non affondare le sue radici nella esigenza di democrazia e di affratellamento  che percorre tutti i popoli, al di lAi?? delle strutture di potere che li inquadrano e , a loro uso, li  dirigono. A queste esigenze di libertAi?? e di democrazia , e quindi di rispetto reciproco e di non violenza, noi oggi siamo chiamati a dare concreta, materiale esistenza nel nostro lavoro, che ha insieme la concretezza dellai??i??episodio di vita che si consuma sul nostro territorio, ed il valore generale che gli deriva dalla lingua universale in cui esso si declina.
Meno evidente A? la necessitAi?? del rifiuto della via politica, se intesa,come comunemente viene intesa, come organizzazione di una struttura che, oltre a diffondere  il verbo meridionale, facendo luce sul cumulo di menzogne ammassato sulla nostra vita, si organizzi  come soggetto capace di competere allai??i??interno delle strutture istituzionali in cui si incarna questo Stato.
Il rifiuto deve nascere  da  due considerazioni. Bisogna   liberarsi dalla menzogna che la politica risieda, e risieda tutta intera,  nelle strutture istituzionali. Il suo luogo originario ed elettivo A? nel luogo opposto, A? nel cittadino in quanto componente della polis. Non vi A? nulla di eversivo in questa proposizione poichAi?? essa non A? altro che la traduzione, un poai??i?? piA? articolata e precisa, dellai??i??espressione ai???il potere appartiene al popoloai???.
Ne deriva che le strutture istituzionali sono politiche non in via originaria, ma in quanto tale qualitAi?? deriva loro dai cittadini, dai cittadini nella loro qualitAi??  di componenti della polis, che quelle strutture hanno costruito e  hanno costruito come tali.
Questo lungo discorso, troppo lungo per una lettera, sta a significare che la sede originaria del potere della politica A? nel cittadino che costruisce la cittAi??; la politica  sorge nel momento in cui lai??i??uomo, accingendosi a costruire la cittAi??, si fa cittadino e la fonda. Questo lungo  discorso serve ad affermare che noi, cittadini di questo popolo meridionale, disperso come tale, nel momento in cui ci accingiamo  a rifondarlo come cittAi?? non possiamo far risiedere la politica  nelle strutture dello Stato che ci ha disperso, ma nel nostro potere originario e insopprimibile di uomini, nella nostra iniziativa di cittadini che lavorano alla costruzione della nuova cittAi?? meridionale e, insieme, e con essa, alla costruzione  di un nuovo ordine mondiale che bandisca ogni colonialismo, in qualsiasi luogo e in qualsiasi forma esso si manifesti. La nostra, pur richiamandosi con validi motivi alle  nostre strutture del passato, cosAi?? malamente massacrate e vilipese, non A? una restaurazione ma la costruzione di una nuova cittAi??, ricca della memoria della cittAi?? che A? stata, ma anche del bagaglio di passione, di battaglie e di esperienze che la storia umana ha vissuto in questi 150 anni che ci separano da quella nostra passata  soggettivitAi??.
Inteso in questo modo, politica A? lavorare per lai??i??ampliamento del potere popolare sui beni comuni, quelli che toccano tutti, come lai??i??acqua e lai??i??aria, ma anche come il mare, come la terra, come il paesaggio, come la memoria storica delle cittAi??. Questo lavoro di
 ampliamento del potere che A? in ognuno di noi e di ampliamento degli spazi di gestione sociale diretta da parte dei cittadini, va fatto paese per paese, cittAi?? per cittAi??, sAi?? che ogni paese riscopra la forza aggregante del suo essere comunitAi??, dotata di identitAi?? storica, di essere il luogo in cui ci si realizza la  comunione delle generazioni, passate e a venire, di essere il luogo in cui si costruisce un futuro depurato per quanto possibile dai dolori e dalle tragedie del passato. Un lavoro da compiere ciascuno nel suo luogo  tutti insieme, ma a ciascuno possibile solo nella propria particolare comunitAi?? di vita
Nel Meridione questo lavoro ha un suo particolare spessore storico e politico, poichAi?? esso, nella nostra condizione di  popolo deprivato del potere sul suo territorio, ha la portata di una ripresa di potere da parte di questo nostro popolo su questo nostro territorio. Che oggi , occorre aggiungere, non A? dominato soltanto dalle decisioni prese allai??i??interno delle strutture politico-istituzionali (in primo piano i partiti nazionali, che ne sono lai??i??anello forte e  che spesso costituiscono solo formalmente decisioni ai???politicheai???,  ma che  sono piA? concretamente atti di prepotenza, di limitazione, di vessazione a carico delle   popolazioni dipendenti), ma A? dominato anche dai poteri forti delle multinazionali, che vanno sempre piA? restituendo la capacitAi?? di produzione e di scambio del territorio, la sua soggettivitAi?? produttiva, e con essa ulteriormente la sua  cultura ed il sentimento di sAi??.
Vi A? tutto un lavoro da fare per difendere , rivalutare e vivificare gli spazi  locali e dotarli della capacitAi?? di rifondare strutture di carattere sociale capaci ai??i?? in un processo federativo che, avendo una visione generale, proceda dal ai???bassoai???, cioA? dallai??i??interno, cioA? dai luoghi –  di governare ampi spazi dellai??i??economia e della vita comunitaria. Molta importanza in questo processo va data ai comuni, come istituzioni naturali. Essi, oggi soggetti al potere  dei partiti  nazionali, cioA? di centri di potere radicati nel cuore dello Stato centrale, e sottoposti ai loro interessi, vanno riconquistati al potere ed al governo dei cittadini, tali perchAi?? si sentono prima di tutto tali.
A? un ampio lavoro, non solo e non tanto di propaganda e di inculturazione, quanto di azione politica concreta da impiantare nella comunitAi?? in cui ognuno di noi vive ed opera. Non A? solo una militanza, ma un lavoro, un tributo che ognuno di noi si abitua a dare quotidianamente al popolo di cui A? parte ed in definitiva a sAi?? stesso. Un lavoro difficile ma fecondo, che ha migliori prospettive di riuscita se fatto da tutti noi, tutti insieme.
Da tempo i Quaderni vanno prospettando la necessitAi?? di un tavolo permanente che ci veda riuniti, tutti insieme, a tempi fissi. O, detto altrimenti, di una Costituente meridionale che dia vita ad una ampia azione comune sul territorio, di carattere sociale ed economico, ma anche di carattere istituzionale (i comuni).Una azione di riconquista di ambiti del  potere. che A? nostro,  ma che A? in balia degli altri, dei nostri nemici e dei nemici dellai??i??uomo.
Sottopongo tale necessitAi?? alla vostra attenzione con lai??i??augurio di ritrovarci insieme nelle battaglie a venire.  Buon lavoro.
Francesco Tassone


