Erminio De Biase durante il suo intervento.
Intervento di Erminio De Biase al convegno di Gaeta ” Dalla memoria Storica all’Identità Culturale” del 6 febbraio 2016
Perchè siamo qui
Se eventi come questo di Gaeta, epigoni di un congresso anticelebrativo dell’entrata di Garibaldi a Napoli che il compianto Achille di Lorenzo organizzò nel settembre del 1960, sono, ormai, tradizione consolidata, lo dobbiamo principalmente al coraggio ed all’intraprendenza di tre illustri alfieri che, dando il via alla divulgazione della nostra vera storia, accesero la riscossa della dignità del Sud: Carlo Alianello, Michele Topa e Silvio Vitale. (Per la cronaca, nel 1943, ci fu un certo cavalier Visco che, affermando che l’Italia del Sud e la Sicilia formavano un’unità culturale ed economica, si prefiggeva la restaurazione del Regno delle Due Sicilie,è anche se con fini utopistici ed alquanto paranoici.)
Silvio Vitale, avvocato e (gentil)uomo politico napoletano, nel 1992, inventò questo annuale appuntamento di Gaeta, nell’anniversario della resa della fortezza che segnò la fine del Regno delle Due Sicilie. Qualcuno ha scritto che bisogna celebrare le vittorie e non le sconfitte. Non è vero: ritrovandoci qui, in questo luogo consacrato dal sangue dei nostri avi che si batterono in difesa della Patria, noi eterniamo il valore del loro sacrificio e ne trasmettiamo la memoria ai nostri figli, ai nostri nipoti. E tutto ciò grazie alla geniale iniziativa di quest’uomo che aveva l’umiltà dei Grandi. Oltre a tante opere divulgative, il suo nome è soprattutto legato a l’Alfiere, emblematica e preziosa pubblicazione tradizionalista napoletana che diresse fino sua scomparsa avvenuta il 25 maggio 2005.
Onorandomi della Sua stima, poco prima di quella data, Silvio Vitale mi invitò a far parte di un Suo ultimo progetto: la Fondazione di un Centro Studi Storici Meridionalistici, la cui costituzione avremmo dovuto ratificare davanti a un notaio proprio negli ultimi giorni di quel maggio di undici anni fa; purtroppo, però, il Fato aveva già disposto diversamente…
Carlo Alianello, è in un certo senso, è stato – anzi è – il muro maestro, la colonna portante del revisionismo storico. Delle sue numerose pubblicazioni, L’alfiere e L’eredità della priora, furono adattate al piccolo schermo dal bravissimo regista Anton Giulio Majano.
Pochi autori descrivono, come Carlo Alianello, avvenimenti di cui si conosceva soltanto la versione dei vincitori e rivelano, ribaltando l’inquadratura come in un controcampo cinematografico, un lato inatteso degli eventi. Così, quelli che nel lettore erano solo dubbi, diventano certezze… La sua prosa, sempre avvincente e suggestiva, raggiunge sovente straordinarie punte di lirismo e suscita, a volte, una profonda commozione come quando, ad esempio, nell’ultimo capitolo de La conquista del Sud, immagina un virtuale colloquio con un soldato dell’Esercito Borbonico la cui fedeltà alla consegna ricevuta nella cittadella di Messina, trascende il tempo e lo rende immortale…
Michele Topa, infine, è colui che considero il mio mentore. Debbo, infatti, alla lettura del suo Così finirono i Borbone di Napoli se mi scrollai di dosso i miti artificiosi di Peppe Garibaldi e di tutte le altre figurelle risorgimentali. Il suo libro divenne tale a furor di popolo. Esso, infatti, fu stampato per soddisfare la richiesta di migliaia di lettori entusiasti degli articoli pubblicati periodicamente su Il Mattino e che furono, appunto, riuniti in un unico volume che il quotidiano offrì, quale strenna natalizia, ai suoi abbonati. Nei primi anni ’90, all’ultima edizione di quell’inaspettato successo, seguì I Briganti di Sua Maestà (dalla cui bibliografia trassi spunto per la traduzione dello Zimmermann). Testi ufficialmente esauriti ma che, di tanto in tanto, ricompaiono nelle librerie o sulle bancarelle, lasciando presupporre, dopo tanti anni, considerevoli proventi: è giusto, però, che si sappia che né lui né i suoi eredi hanno mai intascato un solo centesimo di diritti d’autore. Anzi, ci hanno rimesso pure manoscritti, appunti ed illustrazioni che li accompagnavano.
Conobbi Michele Topa nel 1995. Nel bel giardino della sua casa, in un paesino al confine settentrionale della Baviera, a conclusione di una conversazione durata un’intera mattinata, mi disse: “Quello che bisogna far capire – ed io ho cercato di farlo – A? che Napoli non era una cosa qualunque, era una grande realtà ” e, prima di congedarmi, mi raccomandò: “La verità va tenuta viva…”
Da oltre tre lustri riposa nel piccolo cimitero di Schwebheim e, ogni volta che passo da lì, mi fermo a salutarlo. Non porto fiori sulla sua tomba: vi crescono spontaneamente ma, nel 2003, volli deporvi la bandiera delle Due Sicilie, proprio quella che – nel marzo precedente, insieme a tante altre – aveva fatto muro, all’amnistiato Savoia davanti al Duomo di Napoli. Lo feci perchè quel vessillo aveva ricominciato a sventolare anche grazie ai suoi scritti.
Carlo Alianello, Michele Topa e Silvio Vitale sono, dunque, i nostri indiscussi riferimenti morali e culturali. Solo dopo di loro si sono aperte le cateratte della pubblicistica duosiciliana e si sono moltiplicati gli impulsi commemorativi. Raccontandoci una storia degna di essere scritta per chi non sa e nemmeno dubita, essi hanno innescato in noi il desiderio di vedere a occhi aperti, di conoscere meglio le cose, come stavano, come stanno….
Per questo siamo qui.
Gaeta, 6 febbraio 2016
Erminio de Biase
Consigliere Nazionale Comitati Due Sicilie.