Non vi A? esempio migliore della lavandaia per identificare una contadina nobilitata da un lavoro che la porta in cittAi?? di casa in casa a togliere o riconsegnare i panni.
La si distingue per la grande sporta o immenso fagotto di biancheria, sporca o candida, che trasporta. L’abito A? solitamente di taglio contadino ma ricercato: corsaletto di seta rossa o ciliestre, giubbetto e gonna con colori a contrasto, senaletto bianco e ai piedi zoccoli guarniti di nodi di nastri.
Molte lavandaie sono perA?, tentate dalla avvenenza della moda cittadina, tanto che piA? d’una “ha preso le vesti vecchie delle contadine, quelle vesti ereditate che le madri davano in dote il dAi?? delle nozze alle loro figliuole, e le ha fatto comperare a forte prezzo dalle patrizie per foderarne i seggioloni dei loro piA? ricercati salotti. Vedi stranezza! I cenci d’una contadina sono il lusso di una principessa! Ma giAi??, la seta e il broccato son altro mai che il sepolcro d’un verme.*”
Col profitto di tale commercio la lavandaia si compra abiti da cittadina, ben meno pregiati, ma che le permettono di sentirsi meglio assimilata nella realtAi?? metropolitana a cui ella si vuol fregiare di appartenere.
A dispetto della semplice apparenza il lavoro della lavandaia A? tutt’altro che banale, tanto che spesso queste sono organizzate alle dipendenze di una maestra, che A? una sorta di lavandaia-imprenditrice, che ha il compito di dividere le varie raccolte di panni a seconda del genere di capo e delle necessitAi?? di nettamento.
Questa organizza il lavoro delle fanciulle sue subalterne che paga a giornata o con un tanto per cento sull’utile. Alcune lavandaie invece hanno un asino per alleggerirsi il carico o sopportare grandi moli di panni da prendere o consegnare.
La settimana di lavoro della lavandaia si articola cosAi??:
LunedAi??: a mani vuote o con la sporta al braccio o l’asino scarico la lavandaia va a ritirare i panni sporchi presso i suoi avventori. Questi vengono conteggiati su libretti o tabelle di cartone affinchAi?? nulla vada smarrito.
MartedAi??: la lavandaia maestra divide i panni portatele dalle subalterne e li segna con un marchio tutto suo.
Alla sera i panni sono insaponati e messi in grandi vasi di terracotta o in un capace lavatoio, entrambi bucati sotto, da cui il termine bucato con cui si indica questo genere di lavaggio. Sui panni si butta quindi dell’acqua bollente che filtra attraverso i panni e sfoga dal foro sottostante generando una colata.
MercoledAi??: i panni sono rinsaponati, lavati sfregandoli fin quasi alla macerazione su pietre di lastrico, quindi sciacquati con acqua pura per far perdere loro il puzzo di sapone. Quindi vengono stesi ad asciugare sperando nel sole, o cantando per invogliarne i raggi a cadere.
GiovedAi??: i panni si finiscono di asciugare.
VenerdAi??: i panni sono piegati da stiratrici o soppressiere raggruppati insieme per essere riconsegnati e quindi riportati alle rispettive case, dove cameriere o padrone sovraintendono il riscontro tra quanto A? uscito sporco e quanto tornato pulito e provvedono a pagare la lavandaia.
Sabato: si fanno i conti degli introiti e vengono pagate le lavoratrici a giornata, dette giornaliste.
Domenica: A? un giorno di festa che corona la settimana di lavoro della lavandaia, buono “per acconciarsi, azzimarsi, abbellarsi, mettere il meglio che si ha, andare alla messa a sentire le pubblicazioni, pranzare all’aria aperta, correre a spasso, ballar la tarantella ed aspettar la serenata.*”
(*)De Bourcard: “Usi e costumi di Napoli e Contorni” volume I, pagg. 57 e segg.
fonte: il quotidiano di ventura