Quello del saponaro A? un antico mestiere napoletano, oggi estinto ma la cui tradizione risale al ‘400 grazie ai monaci Olivetani, i quali per comprare i mobili per il loro convento sito a Monteoliveto, davano come compenso il sapone da loro prodotto, ai falegnami. Il loro sapone era di elevatissima qualitAi??, simile al sapone di Marsiglia, utilizzabile sia per la pulizia del corpo che per la casa e quindi lo scambio era sempre a favore dei falegnami che poi si rivendevano il sapone elevando maggiormente il loro profitto. Prendendo spunto dagli Olivetani, quello del saponaro divenne un vero e proprio mestiere per chi non sapeva esercitare alcuna arte e venivano pertanto presi in giro da tutte le altre categorie di artigiani che invece avevano avuto una formazione. Per questo ancora oggi si apostrofano col titolo di “sapunaro” o “sapunariello” chi A? totalmente incapace. La grande abilitAi?? dei saponari pare fosse invece quella di convincere le donne a comprare i loro prodotti, lo scambio avveniva anche in questo caso attraverso il baratto; il saponaro accettava di tutto: scarpe e abiti vecchi, mappine… che poi avrebbe riciclato. Quindi il saponaro era sempre bene accetto perchA? liberava le donne dalla roba vecchia. Da questo mestiere nasce il detto “ccAi?? ‘e pezze e ccAi?? ‘o sapone” per dire io do a te e tu dai a me. Fino a qualche decennio fa il saponaro girava per vicoli e vicarielli della cittAi?? indossando alcuni degli stracci che vendeva, quelli dai colori piA? vivaci e con sulle spalle un sacco di juta in cui c’era il sapone. Una figura divenuta popolare nel folklore locale lo possiamo immaginare per le strade mentre richiama le donne alle finestre: “Robba ausata, scarpe vecchie, simme lente, stamme ccAi??! Bona gente arapite ‘e recchie: sapunare, sapunAi??!”
Chiara Foti Segretario nazionale CDS