dal RAPPORTO SVIMEZ 2013 SULLai??i??ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO
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3. Dopo la mancata ripresa nel 2010 ai??i?? 2011, il Sud in piA? forte recessioneAi??nel 2012
Nel 2012 lai??i??attivitAi?? economica A? diminuita sia nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno, evidenziando il carattere nazionale della crisi. La flessione A? stata piA? forte nelle regioni del Sud, che risentono della maggiore fragilitAi?? strutturale del sistema delle imprese, le quali, per dimensione, caratteristiche settoriali e capacitAi?? competitiva, sono meno attrezzate a resistere a una dinamicaAi??negativa del ciclo cosAi?? lunga e pervasiva.
Secondo valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, nel 2012 il Prodotto interno lordo (a prezzi concatenati) A? calato nel Mezzogiorno del -3,2%, approfondendo la flessione giAi?? registrata lai??i??anno precedente (-0,6%). Il calo A? stato superiore di oltre un punto a quello rilevato nel resto del Paese (-2,1%).
Eai??i?? il quinto anno consecutivo che il tasso di crescita del PIL del Mezzogiorno risulta negativo: dal 2007 il prodotto dellai??i??area si A? ridotto cumulativamente del -10,1%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-5,8%).
Le Regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore rispetto al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna, associata al calo della loro competitivitAi?? sul mercato nazionale, che ha riguardato sia la spesa per consumi, la cui flessione A? attribuibile, per parte importante, alle critiche prospettive nel mercato del lavoro
dellai??i??area -, sia la spesa per investimenti, che si A? ridotta ulteriormente piA? che nel resto del Paese.
Lai??i??entitAi?? di questo processo, che si A? riflesso nellai??i??espulsione di capitale umano e nella
riduzione della base produttiva, A? tale da potere avere conseguenze di lungo periodo.
Secondo la SVIMEZ, sono perciA? urgenti politiche anche temporanee che riducano la portata di questo processo negativo.
Il prolungarsi della crisi ha portato ad un ulteriore allargamento del divario di sviluppo dellai??i??economia del Mezzogiorno con il Centro-Nord. A partire dal 2010, se si considera il divario in termini di Pil pro capite ai??i?? indicatore piA? corretto delle diseguaglianze territoriali ai??i?? il gap ha ripreso a crescere, passando quello del Mezzogiorno dal 58,8% di quello del Centro-Nord nel 2009 al 57,4% del 2012. Tale dinamica – che A? stata determinata in massima parte da un peggioramento dei livelli relativi della produttivitAi?? dellai??i??area ai??i?? ha interrotto la tendenza positiva in atto dal 2001 fino al 2009; tendenza che rifletteva perA?, in presenza di una minore crescita del Pil, lai??i??aumento relativo della popolazione nel Centro-Nord, dovuto alle migrazioni sia interne che dallai??i??estero, nonchAi?? il calo della natalitAi?? al Sud.
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6. Lai??i??andamento delle Regioni italiane
Il peggioramento dellai??i??attivitAi?? economica ha riguardato nel 2012 tutte le Regioni italiane.
Anche le Regioni del Centro-Nord, invertendo la modesta ripresa che le aveva quasi tutte interessate nellai??i??anno precedente, sono tornate a segnare cali significativi, compresi tra il -3,8% della
Valle dai??i??Aosta e il -1,7% di Lazio e Lombardia. Lai??i??area nella quale lai??i??inversione rispetto alla ripresa sembra essere piA? evidente A? il Nord-Est, che fa segnare nel 2012 un calo complessivo del -2,4%, maggiore di quello registrato sia nel Nord Ovest (-2,1%) che nel Centro (-1,9%). La riduzione cumulata del Pil nel quinquennio 2008 ai??i?? 2012 A? stata in questai??i??area del -7,2%, nettamente maggiore
di quella verificatasi nel Nord-Ovest (-4,6%), dopo averlo sopravanzato negli anni precedenti alla crisi (+9,5% cumulato contro +8,3%).
Le Regioni meridionali presentano andamenti piuttosto differenziati, anche se tutti negativi e per la maggior parte di esse nettamente piA? sfavorevoli rispetto al dato medio del Centro-Nord. Le Regioni che nel 2012 presentano il calo maggiore dellai??i??attivitAi?? economica sono la Sicilia (-4,3%), la Basilicata (-4,2%), lai??i??Abruzzo (-3,6%). Le riduzioni relativamente piA? modeste del Pil si sono avute in Molise e Campania, entrambe con -2,1%.
Se si analizza lai??i??intero quinquennio di crisi 2008 ai??i?? 2012, si confermano le profonde difficoltAi?? in cui versano due tra le piA? grandi Regioni del Sud, la Campania e la Sicilia, con cali cumulati di Pil rispettivamente del -10,8% e del -11%.
Nel complesso del periodo 2008 ai??i?? 2012, la sostanziale stasi dei processi di convergenza in termini di Pil pro capite tra il Mezzogiorno e la media nazionale riflette in buona misura lai??i??assenza di progressi registrata, tra le grandi Regioni dellai??i??area, da Campania e Puglia e il solo modesto avanzamento della Sicilia.
Nel 2012 il valore aggiunto per abitante delle due Regioni piA? ricche, Valle dai??i??Aosta e Lombardia, pari rispettivamente a 34.415 e a 33.443 Euro, resta superiore piA? del doppio rispetto alle due Regioni piA? povere, Calabria e Campania, rispettivamente pari a 16.460 e a 16.462 Euro, con un divario in termini monetari pari a quasi 18.000 Euro.
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8. Industria del Sud: investimenti crollati di quasi il 50%
Il processo di accumulazione nel settore industriale al Sud, come richiamato, ha subAi??to una pesante battuta d’arresto: dopo che, prima della crisi, nel periodo compreso tra il 2001 e il 2007 aveva perso il 6%, vi A? stato un crollo degli investimenti fissi lordi del 47% nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012, contro il -21,4% del Centro-Nord, dove, perA?, nel periodo 2001 – 2007 gli investimenti erano cresciuti dell’8,3%.
CiA? significa che nel corso del quinquennio di crisi sono stati essenzialmente fatti ammortamenti degli impianti giAi?? esistenti, ma pochi sono stati i nuovi investimenti. Nel solo 2012 la caduta degli investimenti industriali A? stata pari al 10,8%.
La maggiore fragilitAi?? del sistema industriale del Mezzogiorno A? dovuta ad unai??i??amplificazione dei problemi tipici dellai??i??industria italiana: ridotta dimensione, scarsa innovazione, limitata internazionalizzazione, che si trasformano in bassa produttivitAi?? e limitata capacitAi?? competitiva. La
ridotta dimensione media ha effetti negativi su molte caratteristiche chiave per lo sviluppo industriale: sulle esportazioni manifatturiere, per le quali la quota del Mezzogiorno sul totale Italia A?
risultata nel 2012 ancora pari ad appena lai??i??11,8%; sui livelli di produttivitAi??, che nel 2012 erano per il
settore manifatturiero del Mezzogiorno solo il 75% di quelli del Centro-Nord; sullai??i??attivitAi?? innovativa delle imprese di cui solo il 23,1% (tutti i settori, periodo 2006-2008, indagine CIS) ha fatto innovazione, rispetto al 32,7% del Centro-Nord; su una minore redditivitAi??, che nelle imprese
di piccola e media dimensione era valutabile nel Mezzogiorno in circa il 73% di quella del Centro-
Nord (indici Mol sul fatturato, anno 2011).
Per di piA? dal 2009 in poi gli investimenti agevolati da interventi delle amministrazioni centrali al Sud hanno avuto un forte ridimensionamento, scendendo di circa il 90% nel periodo 2009 ai??i?? 2011, rispetto al triennio 2006 ai??i?? 2008. Mentre, per converso, quelli che riguardano l’industria del Centro – Nord sono calati del 34,5% nello stesso periodo. Lo stesso A? accaduto per gli investimenti agevolati con contributi delle Regioni: al Sud sono aumentati nel periodo 2009 ai??i?? 2011 dellai??i??1,9% rispetto al triennio precedente, mentre al Centro – Nord sono cresciuti di circa il 78%.
La lettura di questai??i??ultimo dato si presta a una doppia interpretazione: crollando gli investimenti sono crollate anche le agevolazioni, ma anche che, in mancanza di una politica industriale agevolativa, l’industria del Sud ha perso colpi in modo significativo. Se ne ricava che le imprese del Mezzogiorno non riescono a compensare il forte calo degli interventi agevolativi nazionali con il modesto aumento di quelli finanziati con i POR, per cui, in assenza di una politica industriale degna di questo nome, il Sud rischia unai??i??ulteriore diffusione del processo di desertificazione giAi?? in atto.
In definitiva, il comparto manifatturiero del Mezzogiorno, giAi?? poco presente nellai??i??economia
del Sud e reduce da un decennio di difficoltAi?? dovute al maggiore impatto della globalizzazione sulle
proprie produzioni, si A? fortemente contratto in termini di prodotto, occupati e investimenti, sia in
termini assoluti, sia rispetto a quanto accaduto nel resto del Paese.
Il risultato A? stato una riduzione della base industriale del Mezzogiorno di notevole entitAi??. Il Sud A? ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che lai??i??assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire allai??i??area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
Solo tornando crescere, partendo da un rilancio della politica industriale, A? possibile invertire questa tendenza. Serve una politica attiva che punti sullai??i??adeguamento strutturale del sistema produttivo meridionale, anche con interventi volti a rilanciare i poli interessati da crisi aziendali e territoriali. CosAi?? come occorre una riqualificazione del modello di specializzazione che opponga al declino in atto il sostegno allo sviluppo delle attivitAi?? a piA? alta produttivitAi??, aprendo anche la strada alla crescita di nuovi settori strategici per lai??i??industria nazionale, allai??i??innalzamento delle dimensioni medie dai??i??impresa, allai??i??aumento del grado di apertura verso lai??i??estero e allai??i??attrazione degli investimenti.
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10. Dualismo territoriale e dualismo generazionale
I dati piA? recenti, che tengono conto degli effetti pesanti della crisi sul giAi?? disastrato mercato del lavoro meridionale, mostrano da un lato una progressiva e crescente penalizzazione dei giovani ad elevata scolarizzazione e, dallai??i??altro, una interruzione del processo di crescita della scolarizzazione, soprattutto universitaria. Emerge in tutto il Paese, ma con una particolare accentuazione nel Mezzogiorno, lai??i??esistenza di una vera e propria questione giovanile che si manifesta, a diversi stadi e livelli di intensitAi??, in una riduzione delle iscrizioni allai??i??UniversitAi??, in un crescita del precariato (prima della crisi) e dellai??i??inoccupazione giovanile (con la crisi dellai??i??ultimo biennio).
Al Sud, in maniera piA? accentuata che al Nord, la recessione non ha fatto altro che aggravare una tendenza giAi?? in atto negli ultimi dieci anni, caratterizzata da un numero sempre minore di giovani che riesce ad accedere al mercato del lavoro regolare, e conseguentemente al sistema delle tutele sociali.
Tra il 2008 e il 2012 il tasso di occupazione giovanile A? diminuito nel Mezzogiorno dal 35,9% al 30,8%. Nello stesso quinquennio, nel Centro-Nord il tasso A? calato dal 59,7% al 51,3%. Il tasso di
occupazione femminile A? fermo al Sud al 23,6.
Le difficoltAi?? maggiori riguardano i diplomati e i laureati nel Mezzogiorno che presentano tassi di occupazione (rispettivamente 31,3% e 48,7%) ,decisamente piA? contenuti di quelli del resto del Paese, e in flessione sia pur piA? contenuta di quella rilevata nel Centro-Nord.
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13. Ventimila laureati meridionali in fuga allai??i??estero, oltre 1 milione e 300
mila meridionali emigrati nel decennio
Lai??i??emigrazione dal Mezzogiorno al Centro-Nord costituisce ancora oggi una caratteristica peculiare del mercato del lavoro italiano; la sua persistenza e i suoi evidenti effetti sulla societAi?? e la demografia meridionale, rappresentano un fenomeno pressochAi?? unico tra i paesi piA? sviluppati.
Il profondo divario tra aspettative, soprattutto delle nuove generazioni in termini di realizzazione personale e professionale e le concrete occasioni di impiego qualificato sul territorio ha determinato negli anni duemila la ripresa dei flussi di emigrazione dal Sud verso il Nord. A partire dalla fine degli anni novanta, infatti, lai??i??esodo A? ripartito. Tra il 2001 e il 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord 1.313 mila unitAi??, di cui 172 mila laureati. Nel solo 2008, prima della crisi economica, il Sud ha perso oltre 122 mila residenti, trasferiti nelle regioni del Centro-Nord, a fronte di un rientro di circa 60 mila persone: una perdita di popolazione tripla rispetto a quella degli anni ottanta. Nel 2011, in presenza di una leggera ripresa della domanda di lavoro nelle regioni forti del Nord, il flusso A? di nuovo cresciuto e, fatto nuovo, in contrasto con il riacutizzarsi della crisi, questa tendenza sembra essersi consolidata nel 2012, pur in presenza della recessione.
La nuova fase migratoria A? caratterizzata dal crescente coinvolgimento della componente giovanile piA? scolarizzata. Nel 2000 i laureati meridionali che emigravano erano il 10,7% del totale di quanti si trasferivano al Centro-Nord; nel 2011 sono saliti al 25,0%, un quarto del totale.
Gli abitanti delle regioni meridionali non hanno mai smesso di emigrare allai??i??estero; nel corso degli anni 2000, dopo una fase di rallentamento nella parte centrale del decennio, negli ultimi anni mostrano unai??i??accentuata tendenza allai??i??espatrio. Nel complesso del decennio in esame sono emigrati
allai??i??estero 180 mila meridionali: 20 mila sono laureati.
Accanto ai trasferimenti di residenza si A? andata consolidando una nuova forma migratoria determinata dalla precarietAi?? del lavoro e dai relativamente piA? bassi livelli retributivi che i nuovi emigranti meridionali trovano nel Nord: il ai???pendolarismo di lungo periodoai???. Si tratta di spostamenti
temporanei, legati al lavoro, che superano il consueto pendolarismo giornaliero, ma che non consentono cambiamenti di residenza anagrafica. Nel 2008, il fenomeno interessava circa 173 mila
meridionali. Nel 2011 i pendolari Sud-Nord, dopo la forte flessione del biennio 2009-2010 in cui
erano scesi a 130 mila, sono risaliti a 140 mila unitAi?? e nel 2012 hanno superato le 155 mila unitAi??.
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Questi sono alcuni stralci ripresi dalle analisi dello SVIMEZ.
Il Sud, per tornare a crescere, deve poter perseguire politiche di sviluppo AUTONOME rispetto a quelle del CentroNord Italia.
Due diverse economie, due diverse strategie, due diversi Paesiai??i??
Luca Longo
1 Comment
Buongiorno, alcune analisi dello svimez sono in linea con la realtà meridionali, ma sono molto distanti dalla realtà più vera , mi spiego il Sud non ha mai avuto possibilità di sviluppo perchè non nè vengono concesse.
I TERRITORI sono in proporzione ricchissimi rispetto alle paludi del nord-italia e ve lo dice uno che ha conosciuto il territorio del nord in lungo e in largo, la loro agricoltura non esiste, i loro territori sono solo foraggio e qualche vitigno.
Allora chiedo allo svimez tutta questa ricchezza del centro-nord dove sta? negli allevamenti di animali? Finiamola di piangerci addosso e mettiamo mano a qualche movimento che ci riporta ad un’Italia federale, dove ognuno bada alla propria appartenenza territoriale e vediamo chi saprà meglio vivere tra queste due Italie che a distanza di 150 anni il nord non sopravviverebbe senza il mio GRANDE SUD.