A proposito del fondo per studenti e letterati poveri. La carriera di un beneficato: Concezio Paulizzi.
Di Lorenzo Terzi
Napoli 29 settembre 2022
La nota del presidente dei CDS Fiore Marro sull’abolizione del fondo per studenti e letterati poveri mi ha spinto a consultare la documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli su questo capitolo di spesa dei Ministeri degli affari interni e della pubblica istruzione del Regno delle Due Sicilie.
Ho potuto così esaminare molti fascicoli personali relativi ai percettori del beneficio, nonché a coloro che ne richiedevano l’erogazione. Fra i numerosi incartamenti mi ha colpito, come caso di studio, quello intestato a Concezio Paulizzi. Su di lui si veda anche: Carolina Castellano, Il mestiere di giudice. Magistrati e sistema giuridico tra i francesi e i Borboni (1799-1848), Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 109-110 e pp. 152-153.
Nel 1828, giovanissimo neolaureato in giurisprudenza, Paulizzi si rivolse a Francesco I di Borbone per ottenere un sussidio, esponendo al re la storia “tragica e funesta” della sua famiglia. La supplica è conservata in: Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli affari interni, I inventario, busta 915.
“Sire
Concezio Paulizzi di anni 22, di Civitella del Tronto in Provincia di Teramo 1° Abruzzo Ultra, prostrato ai piedi della Maestà Vostra, l’espone umilmente quanto segue.
Nel 1806 le Truppe Francesi assediarono il Real Forte di Vostra Maestà sistente in detto luogo.
Il Governatore Bernardo Paulizzi, padre dell’Esponente, si armò subito contra le medesime, per mostrarsi valoroso cittadino, e suddito fedelissimo della Maestà Vostra.
Il detto Forte dopo lunga resistenza divenne preda de’ nemici assalitori.
Questi ricercarono immantinente il padre dell’Esponente, per disfarsene come il più deciso ed attaccato alla Maestà Vostra. Intanto rimaste inutili le loro prime ricerche, condussero in un cupo prigione [sic] di quel Forte l’Esponente, allor di tre mesi, la di lui madre ed ava paterna, perché svelassero l’asilo del richiesto Bernardo. Ne vennero scarcerati dopo cinque giorni, perché Egli era già caduto in potere de’ Predatori.
Immediatamente l’infelice padre dell’Esponente fu sottoposto a commessione militare, fu condannato a morte, e con precipitanza fucilato.
Poscia si diede sacco e fuoco alla di lui famiglia. Per volere celeste rimase vuoto l’ordine di passarsi a fil di spada tutti gl’individui della medesima.
Però si costrinse la moglie del fucilato Bernardo a vestirsi di bianco, e così mostrarsi compiaciuta della fucilazione del suo marito.
Tant’oprò lo spietato furore di quei Predatori, poiché era un notorio, che il padre dell’Esponente avea preferito la sacra difesa di Vostra Maestà alla propria conservazione.
In conseguenza la famiglia del fucilato Bernardo piombò nel colmo delle rovine. Ad onta di tutto ciò si è sempre serbata fedelissima alla Maestà Vostra. Sono 22 anni, che la medesima trovasi decaduta per la Maestà Vostra.
Essa è tutta sola, ma tutta fida in Dio e nella virtuosa Clemenza di Vostra Maestà, sicura, che la Maestà Vostra si degnerà di farla risorgere con luminoso tratto di sua Real Clemenza, in virtù di sì eroico attaccamento.
Ancor l’Esponente, educato sull’esempio paterno, è puro da ogni rea macchia, non essendo stato mai carbonaro, ma sempre figlio non degenere di un padre, che seppe con tanto onore morir fucilato per la Maestà Vostra.
Signore = L’intera patria del Supplicante, tutte le Autorità Provinciali e rispettivi documenti, un Consiglier della Suprema Corte di Giustizia e molto più la originale sentenza della commessione militare, possono contestare chiaramente alla Maestà Vostra questa funesta e tragica storia.
Il Supplicante con istenti e languori ha subito un viaggio di circa dugento miglia, per umiliarne personalmente esatta rappresentanza alla Maestà Vostra. Egli abbisogna di compier qui gli studi legali, per poi rendersi degno di servire Vostra Maestà da suddito fedele a tutte pruove. La sua povera madre non ha modo di sostenervelo, ed ha finora tirato avanti la di lui educazione colla sua poca industria, con molti debiti contratti per mezzo di qualche pietoso Benefattore, e col tenue, ma sempre provvido, sussidio di mesili ducati sei, a Lei accordati dall’Augusto e pio Genitore di Vostra Maestà, di gloriosissima memoria.
Quindi con fiducia e qual desolato orfano ricorre divotamente ai piedi di Vostra Maestà, affinché nell’immensa sua Reale Giustizia e Clemenza si degni assegnargli quindici-15 ducati al mese, fino a che non giunga a meritarsi un impiego da Vostra Maestà; e così seguendo sempreppiù le orme paterne, possa in tutta la sua carriera dimostrarsi costantemente suddito fedelissimo a Vostra Maestà, come il fucilato suo genitore.
E sarà questo il monumento perpetuo della benefica Clemenza di Vostra Maestà, che non sa mai lasciare senza compenso chi seppe eroicamente morire per la Maestà Vostra, dalla quale implora come sopra.
Concezio Paulizzi supplica come sopra = Napoli 12 marzo 1828”.
Bisogna precisare che già l’anno prima, il 20 dicembre 1827, al Paulizzi era stata accordata la dispensa dei diritti per la spedizione della laurea in legge.
Il 16 dicembre 1828 il re approvò la proposta del ministro degli affari Interni sulla domanda del giovane giurista, accordando a costui un soccorso di sei ducati al mese, per sei anni, sul fondo per gli studenti e letterati poveri.
Non furono soldi impiegati a vuoto, come dimostra il fascicolo personale di Paulizzi, in qualità di magistrato, consultabile in: Archivio di Stato di Napoli, Ministero di Grazia e Giustizia, busta 1861, fascicolo 557.
Dai numerosi documenti in esso contenuti apprendiamo che Concezio Paulizzi nacque nel 1806 a Civitella del Tronto, da Giulia Santini e Bernardo Paulizzi. Formatosi nella sua città sotto la guida del canonico prof. Nicola Marucci, si addottorò in utroque iure con diploma di laurea del 10 aprile 1829. Si stabilì poi a Napoli, esercitandovi l’avvocatura.
Il 12 ottobre 1830, dopo aver sostenuto un regolare concorso, entrò nell’ordine giudiziario quale giudice regio a Casale, in provincia di Chieti. Fu quindi trasferito con la medesima qualifica a Torre dei Passeri e a Montorio, nel Teramano. Dopo tre anni, promosso alla seconda classe della magistratura, passò a Tossicia, Bisenti, Nerito, Pianella. Seguì il trasferimento nella provincia di Aquila, a Tagliacozzo e Pratola, quindi a San Demetrio.
In un curriculum del 1848 Paulizzi ricordò di aver avuto, nel corso della sua carriera, “incarichi importanti, e delegazioni straordinarie, fino ad esser mandato dal 2.° Distretto in Cesacastina 1.° Distretto per un grave disimpegno di giustizia penale, presceltovi a fronte di tutti i Giudici di quella Provincia dietro speciale autorizzazione di Sua Eccellenza il Ministro di Grazia e Giustizia, giusta la Decisione di quella Gran Corte Criminale de’ 18 Luglio 1837”. Inoltre, per i servizi resi nel ramo doganale, fu raccomandato per una promozione dall’intendente di Teramo al ministro delle Finanze, e da questi al ministro di Grazia e Giustizia, con nota del 1 ottobre 1838. In questo stesso anno venne proposto dalla Commissione Censoria di Teramo a un avanzamento in un capoluogo di provincia. Giunto a Pratola, si trovò a dover affrontare la rivolta del 7 maggio 1848, nel corso della quale, a suo dire, “iscampò la vita con la moglie, figli e cognato per miracolo solo della Provvidenza: fu soggetto alle più gravi minacce, violenze, vie di fatto, attentati, perigli, latitanza di tre mesi, dispendj sommi, rovine considerevoli, cosicché esiste sì, ma vittima, martire delle più dannose sventure”.
Con decreto reale del 7 settembre 1848 gli vennero accordati grado e onori di giudice di prima classe. Il 20 dicembre 1849 fu nominato giudice di prima classe nel Circondario di Aquila.
La carriera del Paulizzi, però, non progredì senza intoppi. Il 22 maggio del 1850 si riunì in Aquila la Commissione Censoria dei Regi giudici della Provincia per pronunciarsi sui rilievi presentati dal Procuratore generale del re Ezio Ginnari “relativamente al giudice di questo Circondario D. Concezio Paulizzi, tendenti a provocare un mutamento di lui altrove, onde aversi per lo bene della giustizia punitrice altro giudice in rimpiazzo più conveniente per le attualità locali, nel rapporto di maggiore abilità e fermezza di carattere, in ragione della molteplicità e gravezze degli affari del giudicato, segnatamente per le processure in corso istruttorio”.
La Commissione propose all’unanimità di trasferire altrove il Paulizzi, sostituendolo con un altro giudice “che per istruzione, e fermezza di carattere possa più opportunamente rispondere all’esigenza del servigio di un giudicato tanto rilevante quanto lo è questo del Capoluogo della provincia”.
Il ministro di Grazia e Giustizia Raffaele Longobardi, però, l’8 giugno 1850 disapprovò formalmente la proposta della Commissione.
Ma non era finita. Dieci giorni dopo, il ministro di Guerra e Marina Ischitella scrisse al Longobardi accennando al giudizio di “poca entità” pronunciato sul Paulizzi dal generale comandante la Divisione territoriale degli Abruzzi, insistendo affinché il giudice fosse trasferito al più presto, non potendo costui rimanere in sede “senza arrecare positivo nocumento all’amministrazione della giustizia, che nelle di lui mani, a cagione di totale mancanza di entità, cammina con una lentezza scandalosa ed insoffribile”.
Il ministro di Grazia e Giustizia, allora, dispose di chiedere al presidente della Gran Corte Civile di Aquila, Beniamino Caracciolo, “coscienziosi rinsegnamenti” intorno alla condotta del Paolizzi e alla sua idoneità al disimpegno della carica.
Il 2 luglio 1850 Caracciolo rispose in questi termini:
“La condotta del Regio Giudice di questo circondario signor Paulizzi è regolare. La sua morale pubblica e privata non offre osservazioni in contrario. La sua divozione al Re Nostro Augusto Signore e alla causa dell’ordine è qui spiegata in maniera incontrastabile.
Quanto alla sua idoneità, la reputo non del tutto inferiore al disimpegno della carica. Vuolsi però che in alcuni gravi e complicati politici processi non siasi mostrato per alacrità e per senno pari all’importanza dell’oggetto: anzi si crede che per eccesso di zelo abbia travisato le dichiarazioni di alcuni testimoni, in modo da alterare le nozioni necessarie allo scoprimento del vero. Alla quale diceria vuolsi abbia contribuito non poco l’astio di certo Canale sostituto cancelliere, da lui allontanato qual propalatore del segreto delle pruove: la qual cosa acquista qualche considerazione, non sapendo concepirsi come coteste colpe dell’istruttore degli atti abbiano potuto divulgarsi, pria che i medesimi diventassero pubblici”.
Da allora in poi, Concezio Paulizzi non ebbe altre noie di carattere “politico”. Anzi, il 15 luglio 1851 la Procura generale del re presso la Gran Corte Criminale e Speciale del Secondo Abruzzo Ulteriore – nelle persone dell’intendente provinciale Nicola Dommarco e del procuratore generale del re Biagio Galli – lo raccomandò al ministro di Grazia e Giustizia per una promozione: “E ciò non solo per vederlo compensato dei suoi lunghi ed onorati servizi, delle molte ed ostinate fatiche sostenute, precise in questo Circondario colle funzioni d’Istruttore avendo espletate molte ed interessanti processure politiche, dell’ottima di lui morale e del suo pronunziato attaccamento al Re (Dio Guardi); ma ben pure per sottrarlo dall’odio e dagli agguati, che gli possono tendere i demagoghi di questa città. Egli tra i tanti processi politici ha istruito quello del sedicente Comitato Aquilano, su cui la Corte ha già deciso condannando i colpevoli. Ora questi sono degli influenti, i quali hanno estesi e valevoli rapporti in tutte le classi del paese; epperò possono sfogare con ogni mezzo la di loro vendetta contro il suddetto funzionario. Né deve sembrar strana la congettura se riandando il passato si richiami alla memoria il tragico avvenimento in persona del Comandante di Provincia seguito nel 1841”. Il riferimento era all’assassinio di Gennaro Tanfano, comandante militare della provincia di Abruzzo Ultra II, accoltellato l’8 settembre 1841 all’inizio dell’insurrezione aquilana.
Con real decreto del 12 luglio 1852, dunque, il Paulizzi venne promosso a giudice del Tribunale civile in Cosenza. Qui, il 4 ottobre 1853, morì la moglie Vincenza Iacomini, a soli 42 anni. Il 26 agosto 1854 il giudice, “ritenendo il soldo attuale”, venne destinato a servire nella Gran Corte Criminale in Catanzaro. Il 18 maggio 1855 gli si accordarono stipendio e grado effettivi di giudice presso la stessa Gran Corte Criminale.
Con altro real decreto del 7 novembre 1859 fu trasferito con uguale carica nella Gran Corte Criminale in Aquila; da qui, il 15 marzo 1860, venne mandato a svolgere la medesima funzione presso la Gran Corte Criminale di Chieti. Il giorno successivo alla nomina, il 16 marzo, perse anche suo figlio Vincenzo, morto di malattia a Pizzo Calabro.
Alla vigilia della fine del Regno delle Due Sicilie, con real decreto del 1 agosto 1860, Concezio Paulizzi fu messo al ritiro con la pensione di giustizia.