Fiore Marro e Gianfranco Lucariello a Gaeta 2020 in occasione della Commemorazione della caduta del regno delle Due Sicilie
Un caffè con Gianfranco Lucariello : Una icona del giornalismo sportivo napoletano e una bella figura di cronista innamorato del periodo borbonico.
“C’è anche un crescendo nell’amore della gente del Sud verso l’antica Patria, le Due Sicilie. Eravamo in pochi, adesso siamo in tanti. E saremo sempre di più.”
Di Fiore Marro
Caserta 9 ottobre 2020
Non è semplice da spiegare, a chi non ha vissuto la provincia campana ed è stato tifoso del Napoli, cosa hanno rappresentato certe figure agli occhi di noi amanti, appassionati della maglia azzurra: Juliano, Bruscolotti, Musella , Vinicio, Antonio Scotti ( da lui appresi quella famosa frase che ancora oggi amo usare “ a mio sommesso avviso” ), Antonio Ghirelli, Gianfranco Lucariello sono stati la nostra guida, i nostri fari, quelli che allietavano le domenica pomeriggio in Tv o il lunedì mattina sui giornali.
Ho avuto modo, poi da grande, di conoscere qualcuno di loro, come si dice “toccare con mano”: Bruscolotti, “Palo e Fierro”, durante una trasmissione televisiva, Nino Musella in una stagione sfortunata dove allenavo la “Juniores” e lui la prima squadra, infine Gianfranco Lucariello in una cena “borbonica”, si borbonica, perché con gioia ho avuto modo di scoprirlo, come me, “identitario”, grazie all’amico comune Gennaro De Crescenzo, in una serata a Caserta qualche anno fa.
Lucariello, giornalista professionista, iniziò la carriera nel giornale “Roma”, nel 1972, quando cominciò la sua collaborazione nella redazione sportiva, attraverso esperienze alla Segreteria di Redazione con i direttori Buscaroli, Spinosa, Franco Grassi, ma anche lavorando all’Ufficio Dimafoni e alla Correzione. Ha svolto tali mansioni sia al “Roma”, sia al “Roma Sera” nella redazione sportiva diretta da Antonio Scotti e con Mimmo Carratelli, Carlo Dell’Orefice, Carlo Monti, Adriano Cisternino, Carlo Di Nanni, Umberto Carli, Giampaolo Santoro, Clemente Hengeller e Antonio Sasso. . Successivamente è stato impegnato su Canale 21 nella redazione del Vg con Sandro Calenda direttore. Ha lavorato altresì nella redazione sportiva del quotidiano “Napoli Notte” , dopodiché al quotidiano Ultimissime. Nello stesso periodo è stato corrispondente sportivo de “Il Tempo”, poi a Cronache di Napoli e a Leggo.
Attualmente collabora con le pagine sportive del “Roma” e cura il sito dell’Ussi con resoconti sul Napoli. Così come è attiva la collaborazione con NapoliMagazine.
Oltre allo Sport Lucariello ha intrapreso un’intensa attività dedicata al controverso Risorgimento, occupandosi della rivalutazione dei Borbone e del periodo del loro Regno, con la pubblicazione di oltre seicento pagine settimanali pubblicate sul Giornale di Napoli, Cronache e Cronache di Napoli.
Una icona del giornalismo sportivo napoletano e una bella figura di cronista innamorato del periodo borbonico.
D) Sarà stata dura per te, erede di Ferdinando Russo, poter raccontare liberamente la nostra storia bandita, obliata?
R) E’ stata dura, durissima ma la sete di conoscere, di capire come erano andate veramente le cose fu più forte delle giornate di lavoro in redazione e nel seguire il Napoli dappertutto, oltre alle manifestazioni sportive a carattere europeo e mondiale. Spinto dalla curiosità e dalle perplessità acquistavo libri e pubblicazioni storiche di tutti i tipi e li leggevo di notte perché non avevo tempo. Più leggevo e più crescevano i miei dubbi e il desiderio di capire di più. Concentrai le mie attenzioni sullo scontro di Calatafimi. Non mi andava giù per un fatto di pelle la versione ufficiale di quell’episodio: soldati napoletani definiti vigliacchi che correvano a gambe levate per “scappare” di fronte ad una soldataglia di mille e rotti personaggi senza divise, senza calzari e con i fucili … a piumini. Scoprii attraverso una ricerca che i fucili dei garibaldesi non erano affatto quelli delle giostre della nostra infanzia ma carabine inglesi “Lee-Enfield” di ultimissima generazione. In realtà lo scontro fu inizialmente favorevole ai nostri Cacciatori benché numericamente la metà rispetto agli uomini di Garibaldi che furono incalzati al punto di non sapere più dove scappare. Di qui la famosa frase di don Peppino in risposta alla domanda di Bixio “e adesso che facciamo?”, “qui o si fa l’Italia o si muore”, la frase fu attribuita a Garibaldi il quale era invece sgomento e disorientato, non sapendo da che parte fuggire. La situazione dello scontro cambiò radicalmente giacché il generale Landi anziché rifornire di nuove munizioni i Cacciatori che avevano esaurito la loro scorta di proiettili, ordinò incredibilmente la ritirata. Garibaldi in una sua relazione successiva su quei momenti definì vigliacchi i soldati di Francesco II che dovettero ritirarsi poco per volta risalendo uno dopo l’altro i famosi sette terrazzamenti coltivati dai contadini siciliani. Nel suo rapporto il generale Garibaldi glorificò i suoi uomini scrivendo testualmente: “Che eroismo le nostre camicie rosse all’assalto delle posizioni dei soldati borbonici che ci tiravano addosso massi e pietre”, e già, erano rimasti con le saccocce delle munizioni vuote perciò tiravano le pietre i..”vigliacchi”, mentre altri quattromila loro compagni andarono via per ordine del comandante Landi – e lo sanno tutti, ormai – intascò una fede di credito di 14mila ducati che al ritiro in banca erano invece soltanto quattordici, fesso e gabbato. Altre ricerche personali mi convinsero maggiormente sulla falsa storia che ci è stata propinata a scuola e che continua ad essere trasmessa alle giovani leve ancora oggi. Continuai ad aggiornarmi anche su testi di scrittori e storici non napoletani. Furono soprattutto loro ad aprirmi gli occhi: lessi Francesco II di Pier Giusto Jaeger in una sola notte. Mi bastò, fu una liberazione, per un amore scatenante. Mi riempii di orgoglio scoprendo una verità assassinata da prezzolati vecchi e nuovi scrittori di regime. Decisi di dare una mano alla mia antica cara Patria ed ogni settimana pubblicavo – nei giornali dove ho lavorato – una pagina intera su quella che è stata ed è la verità assoluta. Sono particolarmente orgoglioso di un’intervista, la prima, ad un discendente diretto dei Borbone dopo circa 140 anni dal loro esilio dalla madrepatria. Nel servizio da me firmato Carlo di Borbone confessò tra l’altro la sua fede azzurra e fu presente al San Paolo in curva B in un Napoli – Juve che si concluse in pareggio, 1-1.
D) Sarai stato testimone di mille episodi che riguardano il calcio Napoli, non chiedo troppo, ma dicci quelli che ti sono rimasti più cari?
R) Per quanto riguarda il Napoli del passato ho ricordi molto, molto importanti, ricordi di calciatori che hanno fatto la storia azzurra e costruite pagine bellissime di calcio della squadra del cuore. Seguivo da ragazzino gli allenamenti del Napoli al vecchio Vomero, con Monzeglio allenatore e portavo nel cuore Casari, poi Bugatti, Luciano Comaschi, Amadei, Vitali, Posio, Jeppson, Vinicio, Brugola, Vinej, Pesaola, Krieziu, Delfrati e tantissimi altri. Casari e Jeppson li ritrovai dopo una vita in tribuna allo stadio degli Azzurri d’Italia, nella partita in cui in pratica il Napoli con quella vittoria conquistava il primo scudetto. Erano venuti per vedere Maradona e la loro antica squadra. Pensate, Casari e Jeppson erano pazzi di gioia, ed io li celebrai in un servizio sul “Giornale di Napoli” . In tempi più recenti, tra i Grandi Napoli, c’è un posto d’onore per Luis Vinicio, per Careca, per Omar Sivori detto Manolete el Cabezon, per Josè Altafini con il quale sono stato compagno di squadra nella Nazionale Italiana dei Giornalisti agli Europei di Categoria del 1988 in Germania, insieme con Platini e Sandro Mazzola. Ma in prima fila ci sono pure Beppe Bruscolotti e Moreno Ferrario, naturalmente insieme con Diego che è stato ed è sempre tutto per noi. Un posto d’onore è per Antonio Juliano che convinse Krol e poi Maradona a venire in azzurro.
D) Il Napoli di De Laurentis ti ha dato le stesse soddisfazioni del Napoli del Napoli di Lauro e di Ferlaino?
R) Dal Napoli di De Laurentiis qualcosa abbiamo avuto, la scalata dal fallimento alle coppe europee, ma giustamente la Torcida azzurra vuole di più. Nella certezza di un calcio pulito ed onesto che non potrà non arrivare, la squadra del cuore si potrà decorare ulteriormente acquisendo il massimo risultato possibile, come si dice, “non c’è due senza tre … ”.
D) Il tuo Napoli più bello?
R) Per quanto riguarda il Napoli più bello non si può non ricordare la squadra-spettacolo allenata da Vinicio ‘O Lione. Lui per primo in Italia ha portato il calcio a zona e incantato colleghi e commentatori di grandissima competenza come Enrico Ameri, Sandro Ciotti e Nando Martellini. L’altro Napoli “spettacolare” è naturalmente quello del Pibe de Oro.
D) La mia domanda di rito finale è: le tue Due Sicilie esistono o rappresentano solo un tenero ricordo del bel tempo che fu?
R) C’è anche un crescendo nell’amore della gente del Sud verso l’antica Patria, le Due Sicilie. Eravamo in pochi, adesso siamo in tanti. E saremo sempre di più.