La delicata situazione internazionale
Nelle Marche ed in Umbria, vinte le resistenze dei pontifici, , il 3 ottobre Vittorio Emanuele II assunse il comando supremo dell”armata piemontese e mosse in direzione del Regno di Napoli senza neppure salvare la forma col presentare la dichiarazione di guerra. L”intervento armato venne giustificato da Cavour con la necessitAi?? di ristabilire l”ordine nell”Italia meridionale minacciata dalla rivoluzione.
Il comportamento del governo di Torino per poco non fece scoppiare una guerra europea. Infatti la Spagna e la Russia ruppero le relazioni diplomatiche col Piemonte, mentre l”Austria inviava le sue truppe verso il Mincio. Napoleone III, con un comportamento sempre piA? ambiguo, invitA? i piemontesi a far presto e, contemporaneamente, ritirA? l”ambasciatore da Torino. A salvare la situazione intervenne l”Inghilterra, vero regista dellai??i??invasione. La regina Vittoria, infatti, appoggiata dal suo ministro degli esteri, lord John Russel, convinse il principe reggente di Prussia a non compiere atti ostili contro la causa italiana. CosAi?? l”Austria rimase quasi isolata nella sua posizione, e non intervenne temendo di dover affrontare da sola Francia e Inghilterra.
Combattimenti negli Abruzzi
Negli Abruzzi operava la brg di volontari borbonici agli ordini del colonnello prussiano Klitsche de la Grange, costituita ad Itri con 4 battaglioni. Il 1Ai?? era formato da profughi della Sicilia: militari, compagni d”arme ed elementi comunque compromessi col regime borbonico, che avevano dovuto lasciare l”isola in tutta fretta con le famiglie, per sfuggire alle vendette dei rivoltosi. Questi uomini, come scritto nella sua relazione dal de la Grange, avrebbero seguito il reparto a guisa di sciame di locuste, formando la maggior sua calamitAi??. A differenza del 1Ai?? btg, composto da gente estremamente decisa, ma assai indisciplinata, gli altri tre battaglioni erano formati con volontari locali, piA? docili, ma anche meno tenaci. Non appena costituiti e mancando del tutto di addestramento, e solo parzialmente vestiti ed armati, entrarono in campagna rinforzati da due compagnie di gendarmi e mezza batteria da montagna.
Questi volontari , condotti dal vecchio e coraggioso de la Grange, conquistarono Sora, dove era stato proclamato il governo provvisorio da parte dei liberali, poi ripresero Arpino e, il 6 ottobre, Civitella Roveto, dove si erano riuniti i ribelli liberali che subirono perdite per 40 caduti e un centinaio di prigionieri. Nella guerra civile scoppiata negli Abruzzi si affiancarono alla brg de la Grange squadriglie di contadini, dette “masse volanti”, che scacciarono i liberali da Tagliacozzo, Avezzano, Cicolano e Magliano dei Marsi. La valle del Roveto era cosAi?? tornata in mano borbonica.
Temendo la crescente e violenta reazione dei borbonici, e la notizia dell”avvicinarsi di due colonne di soldati regi (la brg de la Grange dalla valle di Roveto e il corpo del gen. Douglas Scotti dal Molise), i governi provvisori degli Abruzzi inviarono delle deputazioni ad Ancona, da Vittorio Emanuele, per esporre la gravitAi?? della situazione e richiedere l”intervento delle truppe piemontesi, e furono ricevute il 5 ottobre. Intanto i governi provvisori cercarono di organizzare la difesa e di reprimere il nascente brigantaggio politico. Numerose compagnie di volontari e di guardie nazionali occuparono una parte della MAi??rsica, le gole di PA?poli, sino a Sulmona e a Castel di Sangro. Si trattava dei volontari al comando di Pateras e Fanelli, e delle guardie nazionali al comando di Silvio Ciccarone, Nicola Marcone e Raffaele De Novellis, truppe motivate, ma non atte a resistere ad un eventuale attacco di truppe regolari; per cui, per salvare gli Abruzzi dalla reazione legittimista, non restava che sperare sull”intervento dell”esercito piemontese.
Nuovi combattimenti sul Volturno
Dunque, mentre la diplomazia giocava le sue carte, si continuava a morire in Puglia, Molise e Abruzzi, dove violente reazioni popolari si scontravano con la guardia nazionale agli ordini dei governi provvisori liberali, scatenando quella guerra civile che avrebbe insanguinato per dieci anni il meridione d”Italia.
Si continuava a combattere pure lungo il Volturno, dove i contendenti rafforzavano le loro posizioni. Violenti scambi di colpi di artiglieria avvennero tra le posizioni borboniche di Triflisco e monte Gerusalemme e quelle garibaldesi di S. Iorio e Gradillo.
L”8 ottobre un”offensiva garibaldese spinse gli avamposti napoletani fin sotto Capua, ma fu bloccata. Il contrattacco borbonico, effettuato da un buon numero di soldati di diversi corpi guidati dal gen. Girolamo De Liguoro, penetrA? fino a S. Angelo, ritirandosi dopo essersi impossessato di molti viveri dai magazzini nemici. Un nuovo attacco invasore fu respinto la sera con gravi perdite. Quel giorno i napoletani ebbero 2 caduti e 17 feriti; i garibaldesi perdite piA? gravi, causate soprattutto dall”artiglieria di Capua. I giorni successivi avvennero molte altre scaramucce, ma che non modificarono la situazione strategica.
Situazione politica italiana
Sul piano politico era cessata, finalmente, la penosa commedia del mantenimento dei rapporti diplomatici fra il Regno di Sardegna e quello delle Due Sicilie. Cavour, infatti, espulse da Torino l”ambasciatore napoletano Winspeare, giustificando l”atto con un”abdicazione di fatto di Francesco II che aveva abbandonato la capitale, svelando cosAi?? le sue vere intenzioni.
Intanto, a Napoli, Garibaldi lottava anche contro gli avversari politici. Gli unionisti, aizzati dagli agenti cavouriani, premevano per un immediato plebiscito per l”annessione, in modo da consegnare il potere al governo di Torino.
Fallirono i tentativi di Mazzini e di Cattaneo, giunti a Napoli, volti a ritardare il voto e a puntare ad un contemporaneo pronunciamento delle popolazione a favore di un”assemblea costituente. La sinistra democratica, avendo anteposto l”unitAi?? d”Italia (anche sotto lo scettro dei Savoia) agli altri obiettivi politici, si era indebolita, non riuscendo a contrapporre una credibile alternativa politica rispetto a quella cavouriana. CosAi?? Garibaldi finAi?? per fissare il plebiscito, che gli avrebbe fatto perdere il potere, per il giorno 21 ottobre.
L”invasione piemontese delle Due Sicilie
Il 12 ottobre, dopo aver lanciato un proclama alle popolazioni meridionali, Vittorio Emanuele passava il fiume Tronto (confine tra lo Stato Pontificio e le Due Sicilie) con la sua armata, penetrando negli Abruzzi, accolto dal comandante territoriale della regione, gen. Luigi De Benedictis, e dal comandante le armi della provincia di Teramo, brig. Agostino Veltri, giAi?? passati agli ordini del governo dittatoriale di Napoli. Il piano della spedizione prevedeva che il IV corpo d”armata di Cialdini ed il V di della Rocca dovevano seguire la costa fino a Pescara, per poi dirigersi verso l”interno. Aggirata la Majella per due strade diverse, una a nord per Popoli e Sulmona, l”altra a sud, si sarebbero ricongiunti in direzione di Castel di Sangro. Da Isernia a Venafro avrebbero dovuto sboccare alle spalle dell”Esercito Borbonico, schierato sul Volturno, costringendolo a dare battaglia sul Garigliano e, se possibile, tagliandolo fuori da Gaeta e dal confine pontificio. Un”altra colonna, composta dai granatieri di Sardegna del gen. de Sonnaz, sbarcA? a Manfredonia per puntare su Napoli da oriente.
Inizialmente i piemontesi furono ben accolti dalla popolazione abruzzese. Fra l”altro, in quella regione le truppe napoletane erano state ridotte al minimo: la brg del barone Teodoro Klitsche de la Grange, che operava nella zona interna ai confini col Lazio, e la guarnigione della fortezza di Civitella del Tronto, costituita da circa 450 fra gendarmi, artiglieri, veterani e fanti di vari corpi sbandatisi. Quest”ultima posizione nemica, aggirata e lasciata alle spalle, fu assediata da alcuni reparti al comando del gen. Ferdinando Pinelli.
Penetrando sempre piA? a sud, i piemontesi cominciarono ad imbattersi sui segni della guerra civile tra legittimisti e liberali: case bruciate, campi devastati, cadaveri abbandonati. La popolazione cominciA? a diventare piA? ostile, silenziosa al passaggio degli stranieri. I piemontesi reagirono immediatamente con lo stato d”assedio e le fucilazioni, inaugurando una repressione feroce che sarebbe pesata sulle popolazioni meridionali per una decina d”anni.
La flotta francese
Intanto, il viceammiraglio francese le Barbier de Tinan, favorevole alla causa borbonica quanto ostile a quella italiana, si recA? in visita da Francesco II, comunicandogli che avrebbe protetto con la sua flotta tutto lo specchio di mare che bagna la costa da Gaeta al Garigliano. CiA? incoraggiA? alla resistenza il Re.
Il 14 ottobre, mentre nei pressi di Napoli capitolava per mancanza di viveri il fortino di Baia (145 veterani ed artiglieri al comando del mag. Giacomo Livrea), il Re convocA? a Calvi Ritucci, chiedendogli una nuova offensiva verso la capitale, allo scopo di impedire il plebiscito. Ma, al solito, il maresciallo sollevA? varie obbiezioni, presentandole per iscritto, controfirmate dai generali von Mechel e Polizzy. Un ultimo pressante appello a Ritucci, recato dal direttore della guerra gen. Antonio
Ulloa, a nome del consiglio di Stato, per spingerlo ad una offensiva, gli pervenne il 19 ottobre; ma questa volta potAi?? opporre una ragione piA? che valida: le truppe piemontesi erano penetrate profondamente in Abruzzo e bisognava garantirsi le spalle, arretrando sul Garigliano.
CosAi??, mentre si preparava l”arretramento del fronte, si attrezzava Capua per affrontare un lungo assedio. Nel frattempo gli scontri erano continuati. Il 15 ottobre i borbonici effettuarono una forte ricognizione verso S. Angelo; il 14Ai?? btg cacciatori, due cmp del 6Ai?? ed una btr da campagna, al comando del col. Raffaele Vecchione, usciti all”alba da Capua, attaccarono e distrussero alcuni posti avanzati nemici, facendo pure qualche prigioniero. Il contrattacco garibaldese, lanciato con rinforzi giunti da S. Maria e da Caserta, non riuscAi?? ad agganciare i napoletani in ritirata e si interruppe, con forti perdite, di fronte ai cannoni delle mura di Capua. Furono 4 i morti e 40 i feriti per i regi; 2 i morti e 60 i feriti per i garibaldesi, fra i quali molti soldati della brigata piemontese Re, sbarcata dalla squadra navale di Persano il 10 ottobre.
La guerra in Molise
Si combatteva anche in Molise, dove il 23 settembre era stato inviato da Francesco II il mag. Achille De Liguoro con tre cmp del 5Ai?? btg di gendarmeria (600 uomini) a ristabilire l”autoritAi?? borbonica in una provincia da sempre fedele alla dinastia. De Liguoro era un fedele e capace ufficiale barese di 48 anni che aveva avuto come ultimo comando la gendarmeria in Calabria; qui, in agosto, era stato testimone della fuga di Vial e dello sbandamento della sua divisione; nauseato, aveva dato le dimissioni ed era riuscito a raggiungere Capua con tre compagnie del suo battaglione.
Nella sua marcia De Liguoro riaffermA? il governo legittimo a Mignano e S. Germano, poi, il 30 settembre, a Venafro. Alla notizia del suo imminente arrivo Isernia si ribellA? al governo provvisorio di Garibaldi e vi fu un massacro di liberali e di guardie nazionali. Il 4 ottobre una colonna di guardie nazionali, proveniente da Campobasso, rioccupA? la cittAi??, reprimendo duramente la rivolta. Il giorno dopo De Liguoro partAi?? da Venafro con 350 gendarmi, il 1Ai?? btg del 1Ai?? rgt granatieri (mag. Michele Sardi), un plotone di cacciatori a cavallo e due cannoni. Coadiuvato da una potente massa di contadini e dagli abitanti di Isernia, le truppe napoletane sbaragliarono il nemico, provocandogli un centinaio di morti e catturandone una cinquantina; a seguito di questa vittoria fu ristabilito il governo legittimo in tutto il circondario. De Liguoro, incoraggiato dall”episodio favorevole al suo reparto, chiese l”autorizzazione al gen. Ritucci di poter attaccare i ribelli concentrati a Sulmona; il comandante napoletano, a causa della sua ostinata prudenza, non lo permise.
Persa Isernia, il governo provvisorio del Molise inviA? da Garibaldi il mag. Gerolamo Pallotta della guardia nazionale di Boiano, col cA?mpito di richiedere rinforzi per domare la reazione esplosa in tutta la provincia. Deciso a riconquistare la cittadina molisana, il 17 ottobre Garibaldi inviA? tre colonne verso Isernia: da Campobasso il col. Francesco Nullo con un migliaio di uomini (legione matese e volontari siciliani), dagli Abruzzi un reparto di volontari al comando di Teodoro Pateras (veterano del Corpo Volontario Napoletano della Repubblica di Venezia -1848-49) e da Maddaloni un altro reparto al comando di Giuseppe De Marco. Ma la manovra per schiacciare Isernia da tre lati fallAi??. Verso mezzogiorno, a Pettoranello, vicino Isernia, Nullo cadde in un”imboscata preparata dal mag. De Liguoro, appoggiato da molti volontari civili, e la sua colonna si sbandA? e fu fatta a pezzi. Non fu una battaglia, ma un massacro con combattimenti frazionati che durarono fino a notte. Nullo, il suo aiutante mag. Caldesi e sette guide, rimasti isolati dal grosso, si aprirono la strada con le sciabole e le rivoltelle, riuscendo a trovare scampo a Boiano. Della legione di garibaldesi le perdite furono di un terzo tra morti, feriti e catturati; al nemico, infatti, furono lasciati 140 prigionieri , le salmerie e le bandiere. Molti furono i garibaldesi linciati dalla popolazione. Pochi si salvarono, fuggendo verso Campobasso o nascondendosi nelle campagne. Tutto il distretto di Isernia si sollevA? contro il governo di Garibaldi, mentre anche De Marco, proveniente da Maddaloni, fu affrontato e respinto dalla popolazione civile, armata con vecchi fucili da caccia, attrezzi agricoli e pietre.
In Molise, oltre ai gendarmi di De Liguoro e alle bande di insorti reazionari, operava anche un reparto di truppe regolari al comando del ten. gen. Luigi Douglas Scotti, conte di Vigolino, di famiglia nobile di origine piacentina. Il Re lo aveva nominato commissario regio della zona di confine che da Ceprano, attraverso S. Germano, si addentrava nel Molise, col cA?mpito di provvedere ad assicurare l”ordine e la tranquillitAi?? del territorio. Egli avrebbe dovuto procedere verso gli Abruzzi, approfittando dei disordini, e riconquistare la fortezza di Pescara; non ebbe, perA?, l”animo di osare, perdendo una favorevole occasione.
Combattimenti a Capua
Sul fronte del Volturno si continuava a combattere nei pressi di Capua, dove il 18 ottobre i difensori della fortezza cercarono di tagliare gli alberi dello spiazzo di fronte, in modo da consentire ai cannoni un tiro piA? profondo, scontrandosi con gli avamposti garibaldesi. Un grosso scontro avvenne la mattina successiva tra i napoletani ed i piemontesi della brg Re, appoggiati dalla legione inglese del col. Peard. Gli inglesi, avanzando imprudentemente fin sotto la fortezza, furono decimati dal tiro a mitraglia, perdendo anche un capitano. Il preciso tiro dell”artiglieria napoletana raggiunse l”obiettivo di interrompere i lavori d”assedio nemici.
Il Macerone
Il 20 ottobre avvenne il primo scontro tra i napoletani e l”armata di Vittorio Emanuele, la quale era penetrata in Molise, schierandosi sul ponte del torrente Vandra e sul monte Macerone, a nord-ovest di Isernia. Qui, dal 18 settembre, si trovavano i reparti borbonici al comando del gen. Luigi Douglas Scotti, con l”ordine di fronteggiare l”aggressione piemontese proveniente dagli Abruzzi, a protezione delle retrovie dall”armata del Volturno. Scotti aveva ai suoi ordini 240 gendarmi del 5Ai?? btg gendarmeria (mag. Achille De Liguoro), 800 fanti del 1Ai?? rgt di linea Re (t. col. Gioacchino Auriemma), un plotone di cacciatori a cavallo, un nutrito gruppo di volontari guidati dal molisano Teodoro Sanzillo e due cannoni. Scotti, venuto a conoscenza della presenza di rivoltosi sul Macerone, la mattina del 20 avanzA? in quella direzione. Avvisato dai contadini della zona sulla presenza di numerosa truppa piemontese, non volle credergli, avanzando malgrado il parere contrario dei suoi ufficiali. Fermo comodamente su una carrozza ai piedi del monte, fece avanzare su tre colonne le sue truppe. In cima al monte era schierata l”avanguardia piemontese, costituita da due btg di bersaglieri con due cannoni, comandati dal gen. Paolo Griffini, il quale assalAi?? da posizione vantaggiosa la colonna nemica che avanzava alla cieca, senza effettuare ricognizioni. I napoletani furono colti completamente di sorpresa e, dopo una breve resistenza, assaliti anche dalla brg Regina, si diedero alla fuga per la via consolare, dove, caricati dal rgt Lancieri di Novara, si arresero in numero di 650, fra i quali lo stesso gen. Scotti. Il resto si ritirA? verso Venafro. Scotti non era stato, per inettitudine, inferiore al Landi di Calatafimi, provocando un duro colpo al morale dei napoletani e scoprendo le spalle dell”armata di Ritucci.
Ritirata sul Garigliano
A quel punto Ritucci, avendo il tergo scoperto, ordinA? la ritirata generale dal Volturno, in direzione del Garigliano, lasciando indietro solamente la guarnigione di Capua, costituita da circa 10000 uomini.
Per parare l”avanzata piemontese da Isernia fece fronte ad est, schierando la sua armata, da nord verso sud, dal Garigliano fino a Calvi: la brg D”Orgemont in quest”ultimo paese; la div. von Mechel a Teano; la div. Colonna piA? a nord; la div. di cavalleria del brig. Giuseppe Palmieri scaglionata su tutto il fronte; la brg Polizzy, rivolta a sud, in retroguardia. Il brig. Polizzy, neopromosso per il valore e la perizia dimostrati nel combattimento di S. Angelo, diresse con grande bravura e competenza militare la difesa della retroguardia.
La legge militare di guerra
Nel frattempo l”avanguardia piemontese, formata da 8000 uomini al comando del gen. Cialdini, giunse fino a Venafro. Per essi lo spettacolo fu desolante: cadaveri ovunque, e numerose case bruciate, saccheggiate, distrutte. Per soffocare la rivolta reazionaria del Molise i piemontesi emisero il bando di Isernia (23 ottobre) che prevedeva l”instaurazione della legge militare di guerra, con corti marziali e pena di morte per chi non consegnasse le armi. Anche per la popolazione del Molise, come avveniva giAi?? per quella abruzzese, ebbe inizio una repressione terribile, con fucilazioni, carcere, torture e crudeltAi?? varie. Cialdini si permise, pure, di inviare una minaccia al governo borbonico, in cui gli ingiungeva di non torcere un capello ai prigionieri garibaldesi, pena la rappresaglia su quelli napoletani. La risposta del primo ministro Casella fu dignitosa e nobile. Egli comunicA? al generale nemico che i prigionieri garibaldesi erano sempre stati trattati umanamente, anche quando risultavano disertori dell”esercito napoletano e, quindi, fosse prevista per legge la pena di morte. CosAi??, mentre i napoletani risparmiavano i loro stessi soldati passati al nemico, i piemontesi si arrogavano il diritto di fucilare sudditi di un altro Regno che
avevano come unica colpa quella di difendere la propria patria.
Il plebiscito
In questo clima di estrema violenza e confusione si svolse il plebiscito del 21 ottobre. La formula era questa: “Il popolo vuole l”Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele come Re costituzionale per sAi?? e i suoi legittimi successori.”. Il modo in cui si svolse il plebiscito non puA? essere preso sul serio, ne certamente, come esempio di libertAi?? e democrazia. Al voto fu ammesso l”intero Esercito Meridionale, formato in maggioranza da settentrionali e da stranieri. I sudditi delle zone ancora presidiate dall”esercito napoletano non poterono votare, come non votarono gli stessi soldati regi che, in teoria, essendo sudditi delle Due Sicilie, ne avevano diritto. La segretezza dell”urna fu regolarmente violata e vi furono, anche, pressioni psicologiche e fisiche.
Esistevano due tipi di schede, una con la scritta SI, le altre con la scritta NO, e ci sarebbe voluto molto coraggio entrare nei seggi e scegliere quella col NO. In molti comuni le votazioni non si svolsero, a causa della reazione del popolino fedele al Borbone.
Comunque sia, su circa due milioni e piA? di aventi diritto (solo i sudditi di sesso maschile maggiorenni e possidenti), si recA? alle urne il 90%
(Sicilia 2.232.000 abitanti; votanti 432.720 (75.2%) di cui favorevoli 432.053. Contrari 667)
(Cronologia De Agostini – 1815-1990)
…leggiamo anche un passo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo:
” ….Alla folla invisibile nelle tenebre annunziA? che a Donnafugata il Plebiscito aveva dato questi risultati: Iscritti 515; votanti 512; Si 512, No zero. Eppure Ciccio Tumeo assicura: “Io, Eccellenza, avevo votato No. E quei porci in municipio s”inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco!”.
(La Grande truffa. Ettore Beggiato – Editoria Universitaria. 1999)
CosAi?? l”unitAi?? d”Italia si legA? indissolubilmente alla casa Savoia, escludendo dalla scena i repubblicani ed i federalisti, i quali avrebbero potuto dare alla nascita della Nazione un”impronta piA? giusta e conforme alle diverse necessitAi?? e culture di un popolo rimasto diviso politicamente per oltre tredici secoli. Probabilmente da ciA? sarebbero nati governi e leggi piA? sensibili ai bisogni delle classi sociali piA? svantaggiate e delle zone piA? povere. Ma non fu cosAi??. L”Italia dei Savoia nacque non come unione, ma come conquista di un altro territorio e di un altro popolo a cui imporre le proprie leggi e le proprie tasse. Il peso economico delle guerre fu scaricato sulle classi piA? povere e sul sud, nel quale fallirono quasi tutte le imprese industriali, poichAi??, nel contesto della politica liberista del governo di Torino, non riuscirono a competere con le industrie del nord e dell”Europa centrale. Chiusero arsenali, fabbriche tAi??ssili e di altro genere, mentre ampie porzioni di campagne venivano abbandonate per lo svolgersi della guerra civile e per l”istituzione della leva, sprofondando nella piA? nera miseria tutto il sud. Da qui nacque la questione meridionale, trasformando il meridione nella zavorra d”Italia.