Un caffè con Rino Genovese
Fiore Marro Intervista per il Roma Rino Genovese, versione integrale
Avellino 9 febbraio 2017
Rino Genovese, accreditato giornalista della RAI, nato nella bella Irpinia a Sant’Angelo dè Lombardi ( luogo che molti ricordano come epicentro di quel drammatico terremoto dell’80), è il maggiorente da me scelto per l’intervista di questo mese. L’intervista si differenzia dai precedenti perché ha origine non dalla presentazione di un libro, bensì da un programma televisivo, a nostro avviso tra i migliori nel panorama dell’etere, cioè quello delle telecamere del “Tg itinerante” che va in onda il sabato, su Rai3 Regione Campania, il telegiornale regionale. Chi frequenta l’ambiente identitario ben conosce ed apprezza la passione e la professionalità con cui Genovese anima questo prezioso cammeo televisivo, dove spesso i temi riguardanti le terre e la gente del sud fanno da protagonisti. Talvolta si è potuto scorgere, nei suoi servizi tv, l’ampio spazio dato al vessillo gigliato. Un valente paladino del credo identitario, dunque, per fortuna della causa culturale duosiciliana. Personalmente essendo avellinese anch’io, mi permetto di ritenere Rino Genovese oggi il migliore ambasciatore della terra irpina, al pari di Walter Matroberardino , che riabilitò il valore del nostro vino, dopo gli errori commessi dai nostri viticultori di fine ottocento, così anche Genovese oggi, dopo gli scempi e i silenzi di chi ci ha preceduto nell’informazione ha ridato la vera immagine del mondo duosiciliano, fatto di qualità enogastronomiche, di elevato valore artigianale e di storia che trasuda dignità e orgoglio territoriale.
D.- Il TG itinerante ha suscitato interesse e, diciamolo francamente, è piaciuto alla gente, tanto che
oramai viene trasmesso già da qualche tempo. A quante puntate siete arrivati?
RISPOSTA: Siamo arrivati alla puntata 172 del Tg Itinerante. Il nostro obiettivo è portare le nostre telecamere in tutti i comuni campani. Purtroppo ci vorrà un po’ di tempo per raggiungere lo scopo. I comuni campani sono, infatti, 551 e il calcolo è presto fatto: promuovendo un comune a settimana serviranno più di dieci anni per visitarli tutti. Ma lo faremo, perché crediamo che il Tg itinerante sia la massima espressione del servizio pubblico locale: il racconto del territorio attraverso le voci dei suoi protagonisti, la promozione delle straordinarie eccellenze della nostra terra, la valorizzazione di realtà spesso sottovalutate e invece ricche di potenzialità turistiche di livello nazionale
D.- Un lavoro certosino, profondo, passionale, come e quando è nata l’idea?
RIPOSTA: la sperimentazione del Tg Itinerante è iniziata una decina di anni fa nella Tgr Marche. Una grande sfida editoriale, raccolta tre anni fa dal mio caporedattore, Antonello Perillo, finalizzata alla promozione del territorio regionale. Al momento sono quattro le regioni italiane che realizzano il tg itinerante. Va in onda il sabato, nel corso del tg delle 14, e gli dedichiamo uno spazio importante: ben 8 minuti di diretta. Grazie al Tg itinerante stiamo facendo conoscere al nostro pubblico la bellezza dei nostri borghi, culture, tradizioni, storie, accrescendo in modo tangibile l’ interesse soprattutto verso le aree interne, e ci stiamo convincendo di una verità bellissima: viviamo in un paradiso terrestre che ha solo bisogno di essere promosso. Un paradiso che si chiama Campania. Nel corso degli anni abbiamo fidelizzato un pubblico vastissimo, il tg itinerante è diventato ormai un appuntamento fisso per molti nostri spettatori. Non è facile realizzare ogni settimana una puntata, perché è necessario dedicare molto tempo allo studio dei luoghi e della loro storia, alle riprese, al montaggio, e nessuno di noi può permettersi di fare il tg itinerante in modo esclusivo (è solo parte del nostro lavoro quotidiano, caratterizzato da tanti altri impegni). Ma la passione e l’amore per il territorio è tale che ci fa superare qualsiasi difficoltà
D.- Il tuo interesse per il periodo brigantesco di metà ottocento ha un momento d’origine specifico,
emerge per un qualche motivo?
E’ proprio grazie al tg itinerante che ho cominciato ad approfondire lo studio della storia pre e post unitaria. Tappe come Casalduni e Pontelandolfo, città martiri della Campania, sono state per me uno spartiacque culturale. Dopo aver conosciuto la storia di violenze, soprusi, ingiustizie perpetrate nel corso dell’invasione del Regno delle Due Sicilie, tutto è cambiato. In questi anni ho fatto ricerche, studiato testi dimenticati in polverose biblioteche, mi sono confrontato con chi prima di me aveva intrapreso il cammino verso la verità. Ed oggi, ovunque vada, scorgo le tracce di un passato nobile che i vincitori hanno cercato di cancellare. Divulgare la verità della nostra storia è diventato un mio preciso impegno professionale, morale ed intellettuale
D.- Da giornalista quale descrizione e valutazione dai dell’ambiente identitario, inteso come il
complesso e variegato mondo di movimenti, associazioni, partiti, editoria ma anche singoli
patrioti che lottano per la riscoperta delle nostre tradizioni, della nostra cultura e della vera
storia del sud nascosta dall’apologetica risorgimentale?
Un fiume impetuoso che si ingrossa con l’apporto di mille torrenti lungo il suo corso, ma del quale è ancora impossibile intravedere la foce. Un fiume carsico, che all’improvviso scompare. Negli ultimi anni la cultura identitaria è cresciuta in modo esponenziale e l’apporto della Rete sta trasformando un movimento intellettuale elitario in un movimento di massa. Ma con un limite che rischia di trasformarsi in una pesantissima zavorra: l’assenza di grandi leader, capaci di riunire anime, pulsioni, fermenti, associazionismi confusi. Nessuno più si meraviglia se passeggiando in qualche vicolo di Napoli si vedono sventolare bandiere del Regno delle due Sicilie, il tema identitario è ormai sdoganato in tutti i programmi televisivi, si parla apertamente e in modo sempre più cosciente della falsità di una storia, quella unitaria, scritta unilateralmente. Ma manca chi riesca a costruire un progetto culturale o politico comune, riunendo ad unità questa immensa potenzialità umana
D.- Quale impatto ha avuto in te la scoperta della verità sul tuo popolo dal punto di vista umano?
La prima sensazione è stata quella del tradimento. Mi sono sentito tradito dalle istituzioni scolastiche, dai testi di storia, da tanti professori che mi hanno mentito. Forse a loro volta inconsapevolmente, ma di fatto mi è stata celata una verità importantissima: la coscienza di ciò che eravamo e, dunque, ciò che potremmo tornare ad essere.
D.- Sei spesso presente allo stadio San Paolo e anche tu hai assistito al fermo della bandiere
borboniche. Cosa ne pensi di questa faccenda?
Una questione dalle diverse letture. Io la sintetizzerei così: lasciate che negli stadi la gioia della fede calcistica possa essere rappresentata dalle bandiere che si preferiscono. Ad una condizione: siano sempre banditi violenza, razzismo, discriminazioni. Lo sport è da millenni simbolo di libertà. E quale maggiore forma di libertà può esserci nello sventolare la bandiera della propria storia accomunata alla squadra che meglio di ogni altra incarna quella storia, fatta di coraggio e determinazione?
D.- Pensi che il meridione possa riconoscersi in un partito nazionale o debba esprimere una forza
che tuteli e privilegi gli interessi delle nostre terre? In ultima analisi pensi che il sud abbia
bisogno di un partito?
Il Sud, purtroppo, è stato rappresentato negli ultimi decenni già da decine di partiti. Dico purtroppo perché, inevitabilmente, ogni volta si è dimostrato che quando le ragioni del Sud diventano il cavallo di battaglia di un partito, il logo su un manifesto elettorale, lo slogan del momento del politicante di turno, si trasformano in una vergognosa merce di scambio politica. Da più di 150 anni si parla di Sud. Il solo parlarne è un’offesa per le nostre regioni. Uno stato degno di questo nome non dovrebbe dividersi in Nord e Sud, dovrebbe essere unitario senza distinzioni geografiche. Ma il nostro non è mai risultato uno stato realmente unitario, e sono sempre più convinto che difficilmente lo sarà. La verità è che bisognerebbe tornare al 1860 e lasciare le cose come stavano: per l’attuale Sud sarebbe la salvezza, ma sarebbe un bene per lo stesso Nord. D’altro canto, perché nasca un partito è necessario che ci sia una comune visione sul concetto stesso di Sud, sulle sue prospettive, sulle sue potenzialità. Al momento tutto questo non c’è.
D – Quali errori imputi a coloro che hanno portato avanti la lotta identitaria?
Nessun errore. Ognuno è libero di professare la sua fede come vuole, se è rispettoso delle fedi altrui. Nel contempo ognuno è libero di sentirsi identitario per le motivazioni che preferisce, guai a imporre un pensiero unico. Ho massima stima per chi, in momenti in cui parlare dei briganti come dei nostri partigiani significava essere considerati folli o eversivi, ha avuto la forza e la coerenza di sostenere con determinazione la verità storica. Oggi però credo che chi ha raggiunto la consapevolezza dell’identitarismo debba con molta onestà intellettuale chiedersi quale potrebbe essere il passo successivo. Beninteso, la risposta potrebbe anche essere: “Nessun passo successivo, sono appagato da questa crescita culturale”. Ma se è vero che la storia è maestra di vita e solo partendo dal passato si può costruire il futuro, allora con molta onestà intellettuale chiunque abbia conosciuto la verità dovrebbe riflettere su cosa saremmo stati senza l’Unità d’Italia e cosa potremmo tornare ad essere.
D.- Quali, secondo te, i progressi fatti?
La divulgazione della verità storica era e rimane una tappa fondamentale. E su questo fronte si sono fatti passi avanti da gigante. Ma prima o poi si arriverà ad un bivio: accontentarsi di aver fatto conoscere a tutti la verità o andare oltre il dato meramente culturale. A quel punto bisognerà saper spiegare perché, ancor oggi, sarebbe utile per tutti che i confini geografici preunitari vengano ripristinati. Bisognerà saperlo spiegare da un punto di vista sociale ed economico. Ma su questi temi noto ancora un enorme pressapochismo, spesso figlio dell’ ignoranza. Purtroppo da questo punto di vista siamo ancora all’anno zero, ma deve essere il fulcro attorno al quale far ruotare qualsiasi ragionamento identitario
D.- Quale strategia consiglieresti per andare avanti?
Il concetto di “andare avanti” implica che si sappia “dove” voler andare e “perché”. Meglio sapere dove voler andare senza sapere come che sapere come andare senza sapere dove, recita un noto adagio. “Come” andare è chiaro a tutti: con la forza esplosiva di un popolo cosciente che si sta formando. Il “dove” è molto nebuloso. O almeno non c’è una risposta univoca. Il ritorno della monarchia? La secessione? Le macroaree regionali? Un rafforzamento delle ragioni del Sud all’interno di una politica nazionale? La semplice revisione storica? La prima vera strategia da mettere in campo sarebbe la convocazione di una sorta di Stati Generali identitari. Un tavolo di confronto serio che faccia maturare una coscienza civile e politica (politica, non partitica. Politica nel nobile senso di governo della pòlis) comune che sappia indirizzare il fiume in piena di cui parlavo all’inizio.
D.- Infine pensi che il mondo del giornalismo nazionale sia libero ed onesto intellettualmente
quando affronta le tematiche riguardanti il sud Italia?
Sinceramente non credo che ci siano pregiudizi di sorta da parte della stragrande maggioranza dei miei colleghi nei confronti del Sud Italia. Il problema è diverso: è l’ignoranza specifica. Molti ignorano completamente la vera storia dell’Unità d’Italia. Ma non posso biasimarli per questo. Sono ciò che ero io stesso prima che il destino mi aprisse gli occhi. Non è semplice ripulire 150 anni di menzogne, ricostruire una cultura sedimentata sin dai banchi delle scuole elementari. Chiunque si professa oggi brigante è un uomo dall’immenso coraggio culturale, è una persona che ha saputo mettersi in discussione e non ha voltato comodamente lo sguardo di fronte ad evidenze anche spiacevoli. Ci vorranno tempo, pazienza, determinazione, ma un giorno la verità sarà conosciuta da tutti. Ed allora chi trionferà? Il Sud, il Nord o la storia?