Storia del brigante Misdea di Girifalco.
Nicotera 2 settembre 2014
Ci sono momenti della storia Calabrese finiti nel dimenticatoio alcuni volutamente altri perchè non tutto si può ricordare. Eppure sulla storia Calabrese il fatto del Brigante Misdea seppur fondamentale rimane nell’oblio. Oggi, questa storia merita di essere rivangata e fatta conoscere ai più. Senza ombra di dubbio sono in pochi a sapere questa storia, eppure la storia di Misdea che riempì i giornali di tutta Italia, dovrebbe raccontare molte cose e dovrebbe indurre i lettori a comprendere che in un tempo dove l’Unità andava edificata, a causa di studi poco attendibili fallì miseramente. Siamo a Girifalco nelle Serre Catanzaresi qui nacque dopo l’Unità nel’62 e visse fino all’età di 22 anni il feroce Salvatore Misdea. Tante dicerie aleggiano sulla sua vita ma dall’incartamento reperito nessuna cosa è attendibile, fuorchè poche condanne inflitte nella Pretura di Borgia, ma nessun efferato omicidio. Divenuto adatto all’età di leva il Misdea lascia la Calabria per servire il nuovo Stato e fu aggregato al Distretto Militare di Catanzaro nel 1882, è successivamente, destinato dal 25 gennaio dell’anno successivo, al 19° Fanteria di Napoli, nella caserma di Pizzo Falcone. Il giovane Misdea incarnava i panni della testa calda anche al militare secondo le parole del Lombroso, almeno così si legge sui giornali del tempo e spesso venne punito per il comportamento ribelle ed indomabile tipico dei Calabresi. Tuttavia Ture come lo chiamavano al paese era servizievole ed affabile con chi gli dimostrava simpatia e li ricambiava facendo per loro il barbiere. Ai suoi più intimi Salvatore amava raccontare della sua terra e di essere stato un brigante. Effettivamente nel suo reggimento il Calabrese era il dialetto predominante e così spesso recitava:”Suai Calabrisa, Calabrisa sugnu! Suai nominatu ppe tuttu lu Regnu” . In realtà il giovane Misdea non fu mai un brigante ma senza ombra di dubbio avrebbe preferito esserlo. Suo esempio di vita fu uno zio Giovanni Marinaro che nel ’50 divenne brigante. Tuttavia fu per un banale alterco con i commilitoni nel giorno di Pasqua del 1884 a far uccidere 4 soldati e 7 ne ferì tutti dell’alta Italia puntualizziamo. Un banale alterco che però durava da mesi. L’omicidio si svolge nel neo costituito Esercito italiano, effettivamente a seguito della coscrizione obbligatoria, accoglieva nelle sue file uomini appartenenti a tutte le regioni italiane, accomunati da identica divisa ma essenzialmente differenti per usi, costumi, tradizioni etc. uomini, in generale, poco inclini ad adeguarsi al servizio di leva ed alla dura disciplina militare. Accusato d’insubordinazione e tenuto anche conto dei precedenti penali, il Tribunale Militare di Napoli lo condannò alla pena capitale.
La fucilazione fu eseguita a Bagnoli il 20 giugno 1884. In virtù principalmente dell’esito della perizia psichiatrica del Lombroso, il Misdea fu però condannato a morte con degradazione, a seguito del respingimento della domanda di grazia, e fucilato alla schiena a Bagnoli all’alba del 20 giugno 1884. Affrontò comunque la morte con coraggio e dignità ed al soldato che si apprestava a bendargli gli occhi prima dell’esecuzione, disse : “ora vedrai come muore un calabrese”.Tra i periti della difesa, vi fu l’antropologo -criminologo Cesare Lombroso, la cui fama, all’epoca, era consolidata anche in campo internazionale. Il Lombroso, in diversi suoi scritti dedicati all’epilessia, fece riferimento alla strage di Misdea, considerandolo un caso estremo di furore epilettico con impulso criminoso ( sfido però chiunque a sopportare mesi e mesi di angherie). Fu questo un ‘episodio che fece eco a quel tempo ed il racconto dell’episodio venne affidato ad Edoardo Scarfoglio (di origine calabrese) che lo diede alle stampe in modo romanzato nel 1884 e dimostrando comunque di non conoscere la Calabria. Nella prima parte del racconto, il fondatore del quotidiano Il Mattino rileva varie incongruenze: descrive Girifalco e l’ambiente familiare del Misdea, e cita Catanzaro, dove Salvatore si recò al Distretto militare per effettuare la visita medica. Scarfoglio mostra di conoscere la Calabria solo per sentito dire. Infatti, da un lato parla delle piante di bergamotto a Girifalco, dall’altro descrive il commercio di frutta ” li Coculi”, antico rione del centro storico catanzarese. Infine descrive i fatti in tutta la sua descrizione così recita l’articolo: Questi i fatti:
Nella caserma partenopea, sede del 19° Brescia, intorno alle 20 del 13 aprile 1884, scoppiò un alterco tra alcuni soldati calabresi e graduati di altre regioni. Probabilmente ultimo di una serie di episodi che avevano visto coinvolti calabresi e soldati meridionali da una parte e militari di altre regioni dall’altra, in contrapposizione proprio per le differenti provenienze geografiche. In primis il caporale Zanoletti offese la Calabria ed i calabresi e successivamente, a causa del litigio scoppiato tra militari, il caporale Cordara diede uno schiaffo al Misdea, il quale reagì minacciandolo di morte. Fu riportata parzialmente la calma ma, durante la notte, in camerata, il Misdea, preso da sconforto e da rancore, covati forse da tempo, e colto da raptus, si impossessò del suo fucile col quale iniziò a fare fuoco su chiunque gli si parasse davanti. I soldati presenti nella camerata si diedero alla fuga o si nascosero, ma per quelli che si trovarono sotto tiro non ci fu scampo. Vennero da lui graziati solo i soldati calabresi. Sparò una cinquantina di colpi fin quando venne immobilizzato e portato in cella. Dopo l’uscita di questo articolo, poco tempo dopo inizia il processo che porta alla condanna di morte, Salvatore Misdea che venne accusato di insubordinazione con vie di fatto, mediante omicidio consumato in persona di caporale, ed omicidio mancato sulla persona di sottufficiali e caporali,commessa per motivi non estranei alla milizia ed aggravata da omicidi consumati e mancati di altri militari di grado uguale. Un processo travagliato dove Girifalco viene definita “tana di briganti”, la vita del calabrese viene rigirata come un calzino ed invece di studiare le reali cause ad aver provocato la follia omicida del fante calabrese provocazioni, umiliazioni, angoscia, pregiudizi antimeridionali, angherie, insofferenza alla disciplina, disadattamento, il Lombroso puntò il dito contro la famiglia d’origine del calabrese e contro il suo carattere villoso. Lo stesso Misdea tra molti ” non ricordo” affermò di aver voluto difendere l’onore della Calabria da continue umiliazioni e vessazioni subite in caserma. Girifalco in men che non si dica si trovò su tutte le pagine di Giornale e persino vennero individuati i parenti e collaterali del Misdea malati di mente ed etilisti; furono sentiti i testi anche su avvenimenti estranei al processo e si rimarcò l’attenzione sui suoi specifici precedenti penali. Il caso Misdea divenne un caso da manuale psichiatrico. Il Lombroso sostenne la tesi della correlazione tra epilessia (di cui Misdea era sofferente) con la devianza criminale, affermando che la follia morale, l’epilessia, l’ereditarietà, la barbarie del paese d’origine e della famiglia, i traumi e l’alcoolismo, erano alla base del fatto criminoso commesso, perorando la condanna a morte come unico mezzo per emendare la società da un individuo nocivo e incline alla violenza, più che approfondire le vere cause del raptus e punire le effettive colpe e le responsabilità personali. Furono per il Lombroso: la sete di vendetta, l’odio, la vanità del Misdea, ma anche le sue caratteristiche anatomiche, affermando che “molte delle sue facciali deformazioni sono frequenti nei calabresi”. Come aggravanti della sua personalità vennero rimarcate anche le tare ereditarie padre etilista, madre isterica, nonchè la presenza a Girifalco del manicomio provinciale. A seguito del clamore suscitato dal caso, Cesare Lombroso pubblicò un opuscolo dal titolo “Misdea e la nuova scuola penale”, cercando di spiegare scientificamente le sue teorie, mentre Edoardo Scarfoglio pubblicò a puntate “Il romanzo di Misdea” (ristampato come unicum nel 2003 con una ricca appendice a cura della professoressa Manola Fausti) infarcito di tante informazioni biografiche sul fante calabrese, con l’obiettivo finale di scardinare le teorie del professore veronese ed i suoi pregiudizi antimeridionali, per arrivare ad ipotizzare una riforma delle giovani istituzioni nazionali, la leva obbligatoria e l’esercito innanzitutto, per suggellare nei fatti l’unità tra gli italiani.
M. Lombardo
1. Edoardo Scarfoglio, Il Romanzo di Misdea. Polistampa editore 2003
2. Cesare Lombroso Uomo Criminale Roma 1876
3. Cesare Lombroso Misdea e la nuova scuola penale
4. Vito Teti, La razza maledetta. Alle origini del pregiudizio antimeridionale, Manifestolibri, Roma, 1993
1 Comment
Misdea non fu assolutamente un brigante. Affermarlo, significa non conoscere la storia del brigantaggio. Si è fatta troppa mitologia, intorno alla sua figura, grazie soprattutto al prof Lombroso. La storia ha bisogno di onestà intellettuale, non di mitopoiesi.